Giovanni Antonio Carbonazzi, ingegnere di lungo corso, piemontese della prima ora, è il padre della Carlo Felice, al secolo strada statale «131». Quando lo mandano nella terra dei Nuraghi è il 1820. Chi governa l’Isola, in quegli anni Regno di Sardegna a tutti gli effetti, è proprio il Re che alla principale arteria sarda darà nome e cognome. Lui, Carbonazzi, disegna la strada seguendo le direttrici dei romani, da Cagliari a Sassari prima di tutto. Realizzarla non è una passeggiata. La missione sarda in quei dieci anni di tracciati, banchine e sedimi stradali convince e gratifica la monarchia. Carbonazzi, però, non si limita alla realizzazione della due corsie e teorizza: «Una strada senza cantonieri è come un ospedale senza medici». Carlo Felice lo ascolta. E’ il 13 aprile, nell’anno 1830 del Regno di Sardegna, quando il Regio Decreto, su proposta di Carbonazzi in persona, istituisce la figura del «cantoniere». Il compito è segnato nelle tavole reali, regolamento e contratto di assunzione: occuparsi della manutenzione e del controllo di un “cantone” della strada (un tratto di 3/4 chilometri).

Medico della strada

E’ quella nuova figura di “medico-infermiere della strada” che farà nascere nell’Isola le «case cantoniere». In Sardegna ne sorgono ovunque, nelle direttrici principali e nelle impervie strade costiere, dall’Orientale, la SS.125, sino alla SS. 128, negli auspici la centrale dell’entroterra. Un patrimonio complessivo e censito di 189 case cantoniere. Il Regio decreto è rigoroso e a quelle “ville” che si affacciano sull’asfalto affida una missione strategica nella manutenzione delle strade di Stato. Case dai tratti architettonici e cromatici, con quel rosso pompeiano, che segnano in modo indelebile un tratto identitario e unitario di quell’insieme di edifici. La loro funzione, incisa nel regolamento regio, è netta e severa: «I cantonieri che abitano nelle case cantoniere o di ricovero esistenti lungo le strade nazionali sono tenuti a conservarle in buono stato e saranno responsabili delle degradazioni che avvenissero per loro incuria».

Incuria docet

Da quell’editto contro l’incuria delle case cantoniere sono passati 191 anni, compreso l’avvento dell’Anas che dell’incuria di quel bene ne ha fatto una costante da nord a sud, dall’Orientale alla Centrale sarda, incurante della disposizione perentoria che imponeva di conservarle in buono stato e ignorando, per convenienza, la responsabilità diretta nella “degradazione”. Ora che la distruzione è consumata e la funzione cessata da decenni, l’Anas si mette in affari, immobiliari. Finito il compito di sovrintendere con dedizione alla manutenzione delle arterie stradali dell’Isola il pachiderma viario dello Stato, dopo aver fatto finire in malora quel patrimonio, si inventa la “strada immobiliare”.

Agente immobiliare

Con un’operazione tutta protesa a depistare il reale stato di devastazione immobiliare, piuttosto che ad un serio piano di recupero e riutilizzo funzionale ai tracciati viari, l’Anas si trasforma in agente immobiliare e cerca di collocare sul mercato 29 case cantoniere dislocate soprattutto sul versante della costa orientale dell’Isola. Un numero abnorme se si considera che si tratta del 30% dell’intero patrimonio di case stradali inserite nel bando delle 100 cantoniere da affidare in concessione in tutta Italia. Un piano di dismissione-concessione che lascia trasparire non pochi dubbi sul reale obiettivo della società per le strade statali, visto che dal bando, scaduto il 15 giugno scorso, emergono dubbi ciclopici sulla legittimità dell’intera operazione. L’azione dell’Anas, infatti, si configura come un vero e proprio “scippo” ai danni della potestà autonomistica della Regione sarda che, già da tempo, sarebbe dovuta entrare in possesso di quei beni immobiliari visto che lo Statuto autonomistico della Sardegna dispone, all’art.14, che tutto il patrimonio dello Stato debba automaticamente e immediatamente passare nella completa e totale disponibilità della Regione non appena viene meno la funzione statale del bene. L’Anas non solo si è dimenticata di quel passaggio ma adesso punta a fare soldi, e tanti, con quelle 29 “ville” stradali dislocate in tutta la rete viaria dell’Isola. Il bando messo in piedi su scala nazionale prevede che il potenziale concessionario debba farsi carico di un investimento di ristrutturazione da mille e una notte, scalando, poi, la cifra dal canone concessorio. L’operazione punta ad una sommatoria di interventi privati che sfonda il muro degli undici milioni di euro complessivi. Una cifra che i potenziali concessionari dovrebbero mettere a correre per ristrutturare quei ruderi disseminati lungo strade e tornanti. Ogni casa con una storia a sé, alcune con cifre da capogiro davvero inspiegabili anche in relazione a previsioni di investimento che appaiono davvero smisurate e fuori contesto.

Affari su strada

Le ventinove case che l’Anas spaccia ancora come sue si dispiegano da San Teodoro a Siniscola, Santa Teresa di Gallura, Sinnai, Urzulei, Palau, San Vito, Burcei, Olbia, Dorgali, Berchidda, Ilbono, Villasalto, Alghero, Palau, Tonara, Narbolia, San Giovanni Suergiu, Calangianus, Bortigiadas, Tempio Pausania, Urzulei, Cuglieri, Olbia, Villaputzu, Posada, Nurri, sino a Budoni. Il bando prevede un canone da porre a base dell’asta per una concessione di 20 anni. In questo caso le cifre non solo appaiono sovradimensionate, ma impongono lavori che, probabilmente, consentirebbero realizzazioni molto più rilevanti e non in concessione, ovvero da restituire.

Cantoniere d’oro

Basti pensare al caso più rilevante della casa cantoniera di Posada. L’Anas per questo immobile chiede per 20 anni un canone di concessione di 952 mila euro con uno scomputo di ben 700 mila euro di lavori da eseguire sull’immobile. Alla fine dei conti, il concessionario, se avrà eseguito i lavori da 700 mila euro, pagherà un canone mensile di 1.050 euro. Non si discosta la previsione per la cantoniera di Santa Teresa di Gallura con una valutazione di un canone base di 930 mila euro per 20 anni, e un importo lavori di 700 mila euro. In questo caso l’affitto-concessione sarebbe di 958 euro al mese. Nel montepremi dell’Anas sono posizionate tra le cantoniere d’oro anche quelle di San Teodoro, 509 mila euro di canone per 20 anni, di Narbolia, 574 mila, di Olbia, 586 mila, di Murta Maria sempre ad Olbia, per 470 mila, Villaputzu 436 mila, Alghero 426 mila. Tra le più povere quelle di Villasalto e Tonara con un canone asta di 125 mila euro l’una, Urzulei con 128 mila, Dorgali con 150 mila euro.

Le “povere”

L’affitto-concessione più basso lo pagherebbero per la cantoniera di Urzulei, con 125 mila euro di lavori previsti, si avrebbe un canone concessorio di 15,39 euro al mese per 20 anni, sulla stessa cifra anche Burcei che prevede un canone per 20 anni di 279 mila euro, con un investimento imposto di 275 mila euro e un canone mensile di 18,75 euro. L’Anas non spiega i conti economici, dice solo che, all’interno delle case cantoniere sarde, si riserva uno spazio per sé, magari con l’obiettivo di mantenere il possesso di un bene che ormai, in base allo Statuto sardo, da tempo dovrebbe essere già iscritto nel patrimonio della Regione. Nel bando, infine, c’è scritto che la concessione verrà rilasciata solo a chi fornirà servizi ai viandanti e turisti, dal cibo alle bevande, dalle informazioni all’assistenza.

Totò e la Fontana di Trevi

L’Anas, dunque, vuole che qualcuno ristrutturi a caro prezzo le case cantoniere dell’Isola, mandate in malora da decenni, vuole incassare soldi e continuare a far credere che quegli immobili sono roba sua. In attesa di conoscere i nomi dei nababbi che vogliono accaparrarsi le “cantoniere d’oro” è possibile che la Regione ricordi all’Anas che i tempi di Totò e Peppino, quando vendevano la Fontana di Trevi, sono finiti.

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