Cagliari, l'addio di don Mario al quartiere di Sant'Eulalia
Commozione, comunione e comunità a Sant'Eulalia per l'ultima messa di don Mario Cugusi, concelebrata con don Ettore Cannavera e don Salvatore BenizziPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Ieri sera in tanti sono restati in piedi per salutare il parroco giunto trent'anni fa nel quartiere di Marina e che l'arcivescovo Giuseppe Mani ha deciso di trasferire suscitando, a fine luglio, un'accesa contestazione degli abitanti che lo considerano una guida. «Quello che è riuscito a fare qui ha del prodigioso», ha detto Paolo Fadda, decano del Consiglio pastorale, che considera il trasferimento «un atto pastoralmente iniquo» e che ringrazia il parroco per avere guidato il «cammino di una cristianità fondata su solidarietà e sussidiarietà». Tante le lacrime imprigionate nei fazzoletti dei presenti durante la funzione accompagnata dai canti corali del Collegium Kalaritanum.
L'OMELIA Visibilmente commosso, Don Cugusi, nel suo commento alla liturgia domenicale. «Il sentimento più forte è la commozione, non tanto perché siete in tanti, ma perché è tanto l'amore che sento». Alla fine chiederà il perdono agli astanti, per quello che ha detto «alla buona». Il discorso è però intenso. Più volte, strappa un riso garbatissimo che subito ritorna nuovo silenzio di ascolto. Riprende i passaggi del sacerdote-maestro Don Milani, quando disse di aver amato i suoi ragazzi più del Signore: «Anch'io forse ho amato, più di Dio, i fratelli che Dio mi ha affidato. Ho amato questi bambini con amore paterno e ora me ne vado con l'amore di un nonno». E rassicura: il sentimento che lo accompagna non è di «paura o turbamento, ma di fortissima emozione».
LA SOTTOLINEATURA «La cosa che voglio dire con molta chiarezza è che ho servito la comunità. Con forza dico che ho preferito obbedire alla comunità che ad altri». E apre una riflessione sulla fede: «Anch'io so che a Dio si va in solitudine. Ma la nostra fede non è qualcosa di solipsistico: è fondamentalmente comunitaria, fatta di testimonianza che riceviamo e che diamo».
IL QUARTIERE Don Cugusi ci tiene ai ringraziamenti: ha passato a Sant'Eulalia quasi metà della sua vita e qui ha ricevuto tanto. «Questa comunità ha fatto di me quello che sono, mi ha fatto crescere». Allarga il riferimento, oltre i credenti: «Alle volte ci convertono quelli che sono ai margini della comunità di fede. Talvolta ho imparato da amici non credenti e alle volte atei. Il popolo in cammino è chiamato a far circolare le esperienze di vita e a crescere insieme». Parla di clericalismo e del sentimento opposto («L'anticlericalismo ce lo stiamo creando in casa») e del valore della laicità, di onestà intellettuale di chi non parte da pregiudizi («Quanti valori laici lasciamo fuori dalla comunità»). Poi torna sul suo popolo in cammino: «Questa comunità è stata attenta alle richieste di aiuto in questo nostro tempo di arroccamenti di apologetica, di quasi scontro tra quelli che frequentano e quelli che non frequentano. Questa comunità ha capito che si cresce entrando in relazione con gli altri"».
LA FEDE Si dichiara arricchito dall'umanità che ha incontrato: «La fede è molto più di uno schema o un elemento di verità: è rapportarci, come questa comunità ha sperimentato». E aggiunge: «La fede è bella quando è libertà, quando la si vive con consapevolezza, senza atteggiamenti minatori, quando nessuno usa simboli per zittirci. E io sono orgoglioso di avere fatto il cammino con voi». Dopo il lungo applauso la comunità ha quindi assistito al concerto (ha cantato Piero Marras) in un saluto di amicizia e condivisione di fede.
MANUELA VACCA