Cinquantamila voci di rabbia, tre chilometri di disperazione, una giornata per provare a cambiare le cose e dire: «Basta parole, contro la crisi vogliamo fatti». Le 50mila voci sono quelle dei manifestanti che invadono Cagliari per lo sciopero generale: un po' di più (60mila) secondo Cgil, Cisl e Uil, un po' di meno per la questura (35-40mila), comunque tanti. Tanti da riempire piazza Yenne e largo Carlo Felice, e alcuni sono ancora in via Roma quando finisce l'ultimo oratore.

I tre chilometri sono quelli del percorso da piazza Giovanni XXIII attraverso la città, che ha accolto il corteo con solidarietà. E questa giornata, questa mattina invernale con promesse di pioggia non mantenute, può davvero cambiare qualcosa - secondo i sindacati - solo se le istituzioni ascolteranno il grido di un'intera Isola.

LE RICHIESTE L'appello è rivolto a Governo e Regione: «Chiediamo scelte politiche di reale efficacia», dice il leader Cisl Mario Medde, parlando dal palco anche a nome dei colleghi Enzo Costa (Cgil) e Francesca Ticca (Uil). «Non basta inseguire le emergenze: si tratta per la Giunta regionale di sapere dove andare, quali strategie disporre per sostenere una nuova crescita economica». Tra queste, sicuramente «un programma pluriennale per creare occupazione, anzitutto giovanile» e «un nuovo welfare regionale».

Da Palazzo Chigi i sindacati si aspettano la volontà di fare della Sardegna un caso nazionale: aprendo subito un confronto per rivedere il patto costituzionale tra Stato e Regione, e per «un nuovo piano di rinascita che abbia al centro il riconoscimento del principio di insularità». Medde auspica anche un accordo di programma per le attività produttive e industriali: «A partire dall'agroalimentare, il tessile, l'aerospaziale, la nautica. E dalle infrastruttre materiali e immateriali».

LA SCUOLA E poi c'è la richiesta di investire sull'istruzione, rafforzata dalle testimonianze di studenti e insegnanti. I giovani se la prendono con la politica, quella che secondo Giosuè Cuccurazzu (universitario di Sassari) finora «non ha ottenuto nulla per l'Isola: di gente così non ce ne facciamo niente». Ancora più graffiante, verso l'attuale maggioranza di centrodestra, un suo collega dell'ateneo cagliaritano, Andrea Coinu: «La Regione finanzia la tutela della gallina prataiola e non le borse di studio. In bocca al lupo alla gallina prataiola: almeno lei un'opportunità l'ha avuta». «E questa Giunta - aggiunge Andrea Dettori, insegnante precario - si genuflette davanti alla riforma Gelmini che licenzia personale docente e non docente».

IL MONITO La folla apprezza la rabbia vissuta dei lavoratori che si alternano al microfono, mentre tollera a fatica gli interventi dei rappresentanti delle segreterie nazionali. Carmelo Barbagallo (Uil) se la cava con lo slogan «qui in Sardegna non si chiude niente». Gianni Baratta della Cisl inizia bene («non è vero che la crisi è finita»), ma poi sbatte su un muro di fischi quando allunga il brodo con «i sardi che hanno dato la vita per l'Italia nelle due guerre»: non è un giorno buono per questo genere di retorica, il problema qui è la fame, non la gloria.

Così Susanna Camusso (Cgil) si regola: «Non siamo più un Paese civile, se manca l'attenzione alle esigenze dei cittadini. I precari dei call center, gli operai della chimica o dell'Alcoa sono stanchi di promesse e vogliono risposte concrete». Proprio quel che ribadisce Medde: «Questa giornata è solo l'inizio. Se non avremo risposte, la lotta continuerà».

GIUSEPPE MELONI
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