Storie di donne speciali: Nereide Rudas, la Signora della Psichiatria

07 marzo 2024 alle 17:03aggiornato il 07 marzo 2024 alle 17:03

Chissà cosa avrebbe detto dell’attacco del 7 ottobre e della reazione israeliana nella Striscia di Gaza, lei che era figlia di una coppia originaria di quei luoghi dove, però, non è mai stata. Ed era il suo rimpianto.

Nereide Rudas non era solo una psichiatra: era una raffinata intellettuale ma, soprattutto, una donna libera.

È sempre stata un passo avanti: si trattasse di iscriversi a Medicina a 17 anni, sposarsi a 19, affrontare l'università con un bimbo piccolo e una vedovanza precoce, fondare a Milano l'istituto di Psichiatria forense, conquistare la medaglia d'oro dell'Accademia forense americana o dirigere, prima donna in Europa, un istituto di Psichiatria.

Aveva girato il mondo portando ovunque Cagliari nel cuore, lei che aveva imparato la libertà a Macomer dove aveva ricevuto un’educazione moderna dalla nonna materna, una donna nata nell’800. Diceva: "A differenza delle altre specializzazioni la psichiatria permette una visione più ampia, ha forti agganci al sociale, al culturale, allo storico, guarda all'uomo completo anche se sofferente. Nessuno è sano o malato: è una questione di equilibrio, c'è sempre una parte di disturbo, di tristezza, di sofferenza. La malattia è una lente d'ingrandimento".

Aveva lavorato in un mondo maschile Nereide Rudas, le donne erano viste con una certa diffidenza ma lei, a parte singoli episodi di intolleranza, non aveva mai avuto grandi problemi. Forse perché ogni forma di pregiudizio la irritava, dunque non vi prestava grande importanza: "Camminavo sulle mie gambe molto velocemente", diceva.

Nell’ultima fase della sua lunga vita aveva affrontato il tema della violenza di genere: "Il muliericidio (lo chiamava così perché, diceva, il sostantivo femmina nel vocabolario comune ha un'accezione negativa),  è la spia di una violenza che si è introdotta nella famiglia". Eppure, l'ultimo capitolo dell’ultimo libro pubblicato poco prima di morire si intitola “Il mondo parlerà con voce di donna”. "Le donne nel '900 si sono affacciate nel mondo del lavoro e hanno conquistato posizioni anche prestigiose", diceva, "ma la condizione di parità non è ancora raggiunta, soprattutto perché non è stato elaborato un linguaggio simbolico. Parliamo una lingua maschile, siamo all'interno di un mondo androcentrico, perfino la maternità è stata simbolizzata in termini maschili". Ma era fiduciosa. Basti rileggere le parole con le quali aveva concluso la sua ultima intervista: "La strada è lunga però l'avvenire già incalza".

La sua vita e quella di tante altre in “Storie di donne speciali”.