"In Sardegna lo sa il vento come sono le cose": il toccante monologo di Geppi Cucciari con parole e musiche di Paolo Fresu

08 novembre 2024 alle 13:43

"In Sardegna lo sa il vento come sono le cose". Così Geppi Cucciari, accompagnata dalla musica di Paolo Fresu, nel suo monologo, ieri sera su Rai3, nella sua trasmissione "Splendida Cornice".

Le parole tratte da alcuni passaggi della prefazione scritta proprio da Paolo Fresu per il libro “Lo sa il vento”, uscito nel 2011 per le firme dei giornalisti Carlo Porcedda e Maddalena Brunetti.

Ecco il testo della prefazione. 

"E c’era un tempo per ogni cosa, come c’era un tempo per scoprire e per insegnare, apprendere e tramandare.

No ti torrat su tempus a nou, dicevano i nostri padri.

Il tempo non torna dicevano sos mannos, per dirci che c’era un tempo per nascere e uno per morire, che questo non solo è giusto ma che soprattutto non va modificato dagli uomini.

Una saggezza racchiusa in quello scrigno che è sa limba, la lingua madre con cui siamo riusciti a raccontare il nostro passato ma non il presente.
Quel presente che se ieri era minaccioso, oggi è tristemente oscuro e che parla altri idiomi.

In questi ultimi decenni molti hanno taciuto sulle responsabilità legate all’industrializzazione e alla militarizzazione della Sardegna. Imprenditori e politici, costruttori senza scrupoli e militari hanno minato uno dei luoghi più belli e incontaminati del pianeta, procurando ferite che solo il tempo e una nuova coscienza forse riusciranno a sanare.

Il tempo non torna e le ferite non guariscono dall’oggi al domani. Ma il vento gira e ogni tanto spira dalla parte dei vinti. Di chi, ostinato, non vuole dimenticare.

Lo sa il vento, in Sardegna, come stanno le cose.

Vento che racconta di migliaia di siti nuragici ancora da scavare, di necropoli puniche che giacciono sotto intere città, di anfiteatri romani, porti fenici, porte e torri saracene, domus de janas, tombe e menhir. Vento che porta storie incredibili di sardi che questa isola amano da morire, e che mai e poi mai andrebbero via nonostante vivano a fianco di un poligono militare, di un polo chimico o petrolchimico e che oggi vedono impiantare migliaia di pale eoliche davanti ai loro occhi.

Sono mille e mille le storie di chi salva una pietra per metterla su un muro a secco, di chi ti porge la mano solo perché sei istranzu, straniero. Straniero ma ospite e nonostante lo straniero in Sardegna non abbia portato quasi mai niente di buono. Sono mille le storie di chi sceglie l’agricoltura biologica e si interroga sulle energie alternative con coscienza e rispetto. Di chi combatte contro le centrali inquinanti, contro i radar e l’ingerenza del cemento. Di chi, nonostante tutto, vuole fare della pecora uno strumento di rivincita e di rinascita. Di chi dona gli organi, di chi costruisce pozzi e villaggi nel Terzo mondo o fa volontariato dietro casa. Le storie dei sardi che dicono sì alla vita, sono troppe perché non si alzi una voce forte, che è quella dei no gridati al vento che gira seguendo l’ordine naturale legando in un ideale abbraccio luoghi, uomini e cose.

È la Sardegna degli estremi questa. Non più tanto lontana da un oggi che solo nell’apparenza sembra essere meglio di un ieri, da noi giudicato arcaico e doloroso e che rappresenta invece un passato dove la società dettava regole ferree in grado di distillare i valori della condivisione, della solidarietà e del giusto equilibrio e rapporto con una natura difficile ma allo stesso tempo fertile e materna.

Mai e poi mai avremmo pensato di essere sopraffatti da ciminiere bianche e rosse che sputano fuoco, dalle luci notturne delle raffinerie, dai cadaveri in lamiera dei tank militari e oggi da un esercito di pale eoliche. Si può morire di privata bellezza e si muore di tumore e di leucemia per motivi che, per dirla alla Sergio Atzeni, sembrano irrilevanti e misteriosi ma che lacerano il tessuto umano e le comunità consumate da mali invisibili, da un nemico che è difficile combattere perché nascosto, subdolo e micidiale.

È una Sardegna forse sconosciuta e inaspettata quella che si oppone a ciò che non vorremmo. Fatta di luoghi normali e di gente normale, che crede nel futuro della nostra terra e nella terra investe per lasciare un segno concreto, un insegnamento e un monito per figli e nipoti.

E poi pietre e pietre ancora. Massi che parlano della storia passata e di glaciazioni remote, di bronzo e di ossidiana.

In Sardegna lo sa il vento come sono le cose.

Va da sé che i muri a secco rischiano di dover essere, ancora per molto, l’emblema della nostra chiusura e sottomissione, quando potrebbero essere la risposta atavica all’invasione della plastica e del cemento, dell’amianto e delle polveri chimiche, dell’eolico selvaggio e del turismo irrispettoso.

È che per molti i muri sono scomodi. Perché definiscono i confini naturali di un privato che nell’isola non c’è mai stato, perché qui la vita era di tutti. Salvo ora in cui sembra che questa non conti più nulla e che l’uomo e il suo condivisibile siano calpestati da un presente imposto e che sembra procurare pochi benefici e piuttosto danni incalcolabili.

In quel Paradiso Terrestre che si chiama Sardegna, dove le pietre e i venti restano gli unici testimoni di un progresso che si fa ogni giorno più scomodo.

Il vento lo sa".

Credit immagini: Rai3

(Unioneonline)