INVIATA
Uta . Il signor Massimiliano Pitzanti, impiegato dell’ufficio anagrafe, già mette in conto le ore di lavoro straordinario che seguirebbero all’arrivo dei nuovi inquilini del carcere. «Tra certificati, nuove carte d’identità e rilascio di documenti vari, sarà come se d’improvviso piombasse qui un nuovo quartiere», allarga le braccia. Cinquantadue anni, in forze all’organico del Comune dal 2004, nell’arco degli ultimi due decenni ha visto crescere il paese e registrato nuovi nati e iscritto nuovi residenti, tanto che – al netto dei decessi e della fisiologica emigrazione – Uta è passata dai 6.970 abitanti del 2005 agli 8.914 del 2024. Un balzo di quasi duemila nuovi cittadini, perlopiù giovani coppie con figli piccoli, single che lavorano a Cagliari e qualche pensionato di ritorno. Una crescita costante, che dal 2014 s’accompagna alla presenza della casa circondariale in zona Macchiareddu, frontiera che nell’imminente futuro potrebbe diventare la residenza di decine di detenuti in 41 bis, gran parte del drappello che il governo vorrebbe impacchettare e spedire in Sardegna.
La preoccupazione
Una prospettiva grigia come le nuvole che ieri mattina coprivano il paese, e mentre il sindaco Giacomo Porcu annuncia «un consiglio comunale urgente per ribadire la nostra motivata contrarietà», l’umore generale sembra in piena sintonia col primo cittadino e pure col meteo. «Sono preoccupato, come tutti», dice Claudio Cossu, 60 anni, titolare col fratello di un’officina meccanica in via Stazione. «Il nostro paese è un paradiso, e rischia di subire forti contraccolpi dopo l’arrivo di reclusi in regime di massima sicurezza. Forse non subito, ma le conseguenze ci saranno perché queste persone non arrivano da sole, hanno chi li segue». È della stessa idea Gianni Corsela, 68 anni, poliziotto in pensione. «Coloro che arrivano per far visita ai detenuti non vanno certo via in giornata, si trattengono anche per lungo tempo», sottolinea. «Il carcere non è una comunità chiusa ermeticamente, può accadere per esempio che vengano portati fuori dei messaggi».
Tutti figli di Dio
«Anche loro sono figli di Dio», avvisa serafica la signora Annamaria («Il cognome non glielo dico»), 75 anni, che varca il portone della chiesa di Santa Giusta con passo deciso e la borsa della spesa al braccio. «Ho letto la notizia sul giornale, e credo che si stia facendo troppo baccano per niente». Dev’essere questo l’intendimento anche di un paio di insegnanti delle vicine scuole medie ed elementari («Arrivano tanti detenuti in 41 bis? E che problema c’è?»), ma – nell’umile sondaggio di una mezza mattinata a piedi su e giù per il paese – si può concludere che la linea predominante sia quella dei preoccupati.
Le famiglie con bimbi
«Un innesto del genere non può non avere conseguenze sul paese e sul territorio», dice Marco Mulas, 43 anni, papà di due bambine. Lui e la moglie Paola Dessì, coetanea, hanno lasciato Cagliari («La nostra città») nel 2011 per stabilirsi a Uta. «Come tante famiglie con figli piccoli avevamo necessità di una casa spaziosa a un prezzo accessibile», spiega Paola. «E qui l’abbiamo trovata». La scelta fatta anche da Maura Laconi, 49 anni, originaria di Escalaplano, mamma di due bambini. «Abitiamo qui dal 2005, abbiamo lasciato Assemini per vivere una dimensione più a misura di famiglia». Come Federica Isola, 48 anni, una figlia piccola. Originaria di Villasimius, marito di Capoterra, hanno preso casa qui nel 2011. «La dimensione è quella di un paese tranquillo», dice.
I servizi al tracollo
«Un paese in crescita», puntualizza il sindaco, pronto a dare battaglia. Annunciata la convocazione di un consiglio comunale urgente, avverte che, «come amministrazione non rimarremo inerti e staremo al fianco di Regione, Città metropolitana, Province e Comuni per difendere le ragioni dei sardi». Le condizioni per l’accoglienza di questi detenuti, spiega Giacomo Porcu, «non ci sono. A cominciare dal sistema sanitario che non è assolutamente in grado di reggere quest’urto, visto che i costi di gestione sanitaria dei carcerati in Sardegna sono a totale carico del servizio regionale». Per non parlare della sicurezza («In paese ci sono cinque agenti della polizia locale e otto carabinieri») e degli uffici con organici all’osso (all’anagrafe, per dire, sono rimasti in due). «Chiediamo al governo la convocazione di un tavolo. E intanto, facciamo un appello ai parlamentari. Insomma, l’esecutivo giustifica questa decisione richiamando la norma che identifica le isole come le aree da privilegiare per questi trasferimenti. È necessario che il Parlamento intervenga, e che si modifichi questa norma, oramai anacronistica».
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