Non fa parte dei comitati, ma collabora con loro: è il movimento “Surra”. Ruota attorno all’attivismo di cinque giovani e la portavoce è Elena Pinna, 32 anni, artista sarda emigrata in Francia.
Che cosa significa “Surra” in italiano?
«Una passata di colpi. Il nome nasce con questo intento: rompere gli schemi, spezzare l’inerzia, scuotere la rassegnazione».
A chi è rivolta questa
surra
?
«Non contro un gruppo politico o una parte sociale, ma contro uno stato di immobilità mentale e collettiva. È lì che colpisce. “Surra” è anche un acronimo che racchiude il nostro credo: Sardigna-Unida-Rinaschida-Resistenti-Autodeterminada».
Chi siete?
«Persone provenienti da diverse parti della Sardegna. Io ho origini di Fonni, Cabras e Illorai. Con me ci sono Marco da Castiadas, Angelica da Quartu, Muddy da Maracalagonis e Michael da Escalaplano».
Lei è un’artista.
«Io sono anche un’artista. Con il mio gruppo Onyria, siamo attivi da oltre tredici anni. Operiamo principalmente sul territorio francese, ma abbiamo suonato anche in Sardegna, ad esempio al Rock & Beer di Valledoria. Il progetto ha raggiunto risultati importanti: classifiche rock in Austria e Svizzera, articoli su riviste internazionali, milioni di views e una continuità artistica che prosegue tuttora».
In quale città vive?
«A Nizza».
E di che cosa si occupa?
«Il mio percorso professionale nasce nella moda e poi si è evoluto, portandomi anche a lavorare come agente di sicurezza aeroportuale».
Siete un gruppo ristretto: quando avete scoperto l’attivismo?
«L’attivismo non nasce a un certo punto. È sempre stato parte di me. Ho sempre seguito ciò che accadeva in Sardegna, ho sempre portato la causa sarda nei testi delle mie canzoni. Già prima di essere maggiorenne sensibilizzavo le persone attorno a me su occupazioni militari, veleni, incendi. Circa dieci anni fa ho collaborato con Alessandro Sanna dei “Sa Razza”, proprio sul tema degli incendi. Non è una scoperta recente. È una continuità. Gli altri ragazzi, come me, sono sempre stati attenti, critici, informati. A un certo punto ci siamo incontrati grazie ai social. Da lì è nata l’esigenza di creare qualcosa di strutturato: “Surra”, appunto».
Per un certo periodo lei è stata l’unica persona seguita sui social dalla governatrice Todde. Le ha mai scritto?
«Ho iniziato la mia divulgazione parlando di linguistica e storia sarda, portando avanti e diffondendo il lavoro del glottologo Salvatore Dedola, che stimo profondamente e di cui sono diventata amica. A un certo punto la presidente Todde ha iniziato a interagire con quei contenuti, fino a seguirmi. Ho colto l’occasione per indirizzarle un video, taggandola e inviandoglielo anche in privato. Non pretendevo risposte, ma sentivo il dovere di tentare un confronto».
Ora non la segue più, ma pare che la conoscano pure altri dentro il Palazzo.
«Dopo un’intervista che rilasciai e che fece parecchio rumore, smise di seguirmi. So, per vie traverse, che all’interno del Palazzo della Regione si è parlato di me, con accuse legate al fatto che non proporrei soluzioni e che ciò che dico è contestabile, neppure ricoprissi io (e non loro) un ruolo istituzionale. Eppure, nei miei contenuti, le soluzioni le ho sempre indicate».
Sui social posta diversi video sull’assalto eolico e fotovoltaico. Crede che si possa ancora fare qualcosa per bloccarlo?
«Credo fermamente che si possa agire. Il fatto che negli ultimi tempi molti progetti siano stati ritirati dalle stesse società proponenti dimostra che il lavoro dei comitati, dei giornalisti e della divulgazione ha inciso. La Sardegna, nella sua maggioranza, è contraria a ciò che sta accadendo. Il problema è la disinformazione e la poca consapevolezza. La prima soluzione è quindi l’informazione. Quando le persone capiscono cosa sta succedendo, nasce la mobilitazione. Nasce il dissenso».
Ci sono altre strade?
«Un’altra soluzione è il non abbandono delle campagne, la riqualificazione dei territori e la valorizzazione di ciò che abbiamo. Marco Melis, con Archeo Sarrabus, sta portando avanti un lavoro straordinario: scoperta, censimento e valorizzazione dei nuraghes, vincolo dei territori, nascita di economie locali legate all’archeologia, al turismo consapevole e ai prodotti dei proprietari dei terreni dove risiedono i siti. Questo dimostra che valorizzare la Sardegna si può».
L’avversione dei movimenti, iniziata un anno e mezzo fa, ha segnato un nuovo modo di fare attivismo politico, non trova?
«I movimenti e i comitati hanno avuto un merito enorme. Surra probabilmente non esisterebbe senza la loro scossa iniziale. Quando vedevo, dalla Francia, le immagini del porto di Oristano, mi commuovevo. Era il popolo di cui mio padre mi aveva sempre parlato. Finalmente lo riconoscevo. Ho collaborato con i comitati, ricevendo documenti, informazioni, consigli. È stato un onore. È chiaro che non sempre è semplice conciliare una forte presenza sui social con reti territoriali complesse, segnate anche da delusioni e scontri. Ma il valore di ciò che hanno creato resta enorme. Il mio augurio è che possano essere più forti che mai».
A proposito, che cosa pensa della politica?
«Parlare di politica non significa voler fare carriera politica. Significa esercitare cittadinanza attiva. Per la Sardegna serve un grande reset».
Dove vi inserite nella costellazione dei Comitati?
«Surra non si inserisce nella costellazione dei comitati, ma collabora con essi. Siamo al servizio delle cause, dei territori, delle persone. La nostra autonomia è strutturale e resterà tale. Vogliamo essere punto di riferimento, amplificatori di voci, strumento di supporto e creazione».
Per ora avete rivendicato autonomia da tutti.
«Ogni iniziativa che portiamo avanti è condivisa con chi desidera farne parte. “Surra” è e resterà indipendente, neutrale, aperta alla collaborazione».
I social sono davvero utili a veicolare idee e, perché no, anche qualche altolà?
«I social sono un’arma potentissima, abbiamo deciso di usarli per rompere l’inerzia. Vogliamo scuotere le coscienze. Vogliamo far sì che la Sardegna torni a riconoscersi e ad autodeterminarsi».
Lei ha migliaia di follower sui social: chiariamo una volta per tutte, vi ritenete influencer o attivisti?
«Ne ho poco più di 40 mila. L’appellativo che forse più ci rappresenta è attivisti. Non perché sentiamo il bisogno di un’etichetta, né per collocarci politicamente, ma per una semplice ragione di fatto: per ciò che facciamo. Il nostro è un impegno reale, da cittadini che esercitano i propri diritti civici in modo attivo e consapevole. È in questo senso che il termine attivisti risulta il più aderente alla realtà. Detto questo, le etichette non sono mai state una nostra priorità. Di certo, la definizione di influencer ci è completamente estranea. Porta con sé una connotazione frivola che non ha nulla a che vedere con il tipo di lavoro e di responsabilità che ci assumiamo. Non è nemmeno un’etichetta onesta, perché la nostra visibilità e i nostri volti non sono funzionali alla promozione di prodotti o interessi a scopo di lucro. Se un domani ciò che stiamo costruendo dovesse generare pure un’economia, ne saremmo felici senza ipocrisia: anche gli attivisti devono vivere».
Quali saranno i prossimi passi?
«Gli stessi che abbiamo intrapreso fin dalla nascita del progetto: dare voce alle cause, creare progetti di valorizzazione del territorio contro lo spopolamento e l’abbandono delle terre, costruire reti con persone che condividono gli stessi obiettivi e diventare uno strumento che altri possano usare per portare alla luce situazioni che meritano attenzione. In questo senso, ci definiamo senza problemi le “Iene Sarde”».
La Sardegna riuscirà alla fine a liberarsi dalla morsa delle multinazionali?
«Sì, ma solo quando prenderà piena coscienza di sé. Serve un grande lavoro culturale: consapevolezza, identità, riscoperta delle proprie radici. È anche per questo che con “Surra” portiamo avanti un lavoro editoriale attraverso un blog che pubblica articoli di archeologia, storia e cultura. Perché un popolo che sa chi è, sa anche come difendersi».
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