Il caso

«Caro Papa Leone, se vieni a trovarci sistemano le docce» 

Il cappellano don Gabriele Liriti: «Sono giornate molto difficili» 

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«Caro Papa Leone, vorremmo solo vivere una carcerazione più umana e non così degradante. Non siamo anche noi figli di Dio? Venga in carcere, dagli ultimi degli ultimi». Giuseppe è un detenuto che trascorre la vigilia di Natale in una cella nella casa circondariale di Uta. Il suo nome all’anagrafe è un altro, ma questo è solo un dettaglio. Nei giorni scorsi ha scritto una lettera al Papa e l’ha consegnata a don Gabriele Liriti, il cappellano del carcere.

Giubileo dei detenuti

«Ho partecipato a Roma al Giubileo dei detenuti – dice il sacerdote – altri ospiti hanno voluto scrivere al Pontefice. Questo periodo in carcere è particolarmente difficile. Sofferenza e solitudine prendono il sopravvento. Il Natale in carcere coinvolge tutti: guardie, educatori e volontari. Ogni piccolo gesto diventa simbolo di attenzione e dignità: il presepe costruito insieme, il pranzo con i parenti, l’incontro e la condivisione rappresentano momenti in cui anche chi è privato della libertà può sentirsi parte di una comunità, ritrovando un senso di umanità e di speranza».

Le lettere

«In carcere siamo rifiuti – scrive un detenuto – venga nel carcere di Uta. Venga a trovarci per dare un messaggio forte e, forse, per il suo arrivo, l’amministrazione vorrà fare bella figura e noi carcerati avremo acqua calda nelle docce, riscaldamenti accesi, un carcere funzionante e pulito e una sanità che si prende davvero cura delle persone ammalate senza lasciarle soffrire per anni, come avviene, purtroppo».

Anche Luigi, un altro detenuto, rivolge parole di speranza al Pontefice: «È essenziale creare dei ponti tra carcere e territorio, unica strada per dare speranza e futuro a coloro che sono stati marchiati, scartati ed emarginati. Con la forza della speranza nel cuore cerchiamo di non arrenderci, sforzandoci di sanare le nostre ferite per camminare con un cuore nuovo verso un futuro di vera libertà».

La fede

«La preghiera che ti chiedo – si legge in un’altra lettera inviata a Papa Leone – non è per me, ma per i miei familiari e per i familiari di tutti i miei compagni di detenzione». Don Gabriele Liriti ricorda che la Chiesa di Cagliari ha proposto «tra i segni di speranza, quello di offrire ai detenuti un’alternativa alla detenzione, sviluppando un progetto di accoglienza nelle comunità parrocchiali per un servizio da svolgere in regime di volontariato, rivolto appunto a coloro che devono scontare una pena e possono farlo inseriti in una comunità cristiana, nella società. A tutti i parroci è stato proposto questo “segno” che potrà realizzarsi a partire dalla disponibilità di ciascuna parrocchia».

Il presepe di Isili

Muschio, rami di felce, statuine. Il colori del presepe realizzato dai detenuti illuminano la piazzetta all’interno della casa di reclusione all’aperto di Isili. «Ci sono ospiti stranieri, c’è una piccola comunità multietnica. Sono giornate tristi, noi facciamo il possibile per aiutare i detenuti», dice don Aldo Carcangiu, cappellano del carcere da 15 anni. «Qualche giorno fa un ragazzo che non era mai entrato in chiesa mi ha chiesto di partecipare alla messa – continua il sacerdote – forse ha sentito il bisogno di pregare. La porta è sempre aperta. Anche i volontari e gli educatori fanno un grande lavoro. I detenuti ci raccontano le loro tradizioni, il loro modo di festeggiare il Natale. Noi in qualche modo cerchiamo di creare un clima di fratellanza e amicizia».

Gli agenti

Per tanti agenti di polizia penitenziaria il Natale è non è una giornata di lavoro come le altre. «In questo periodo – dice Raffaele Murtas, del sindacato Sirape – vengono intensificati in controlli di sicurezza per scongiurare episodi di autolesionismo».

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