Nel momento esatto in cui Leone XIV ha salutato il mondo da Piazza San Pietro, in un laboratorio di Chicago qualcuno ha dimenticato di spegnere il timer di un’incubatrice.Il suono è rimasto a trillare in sottofondo, ignorato da tutti. Perché lì, tra provette e dati genetici, una cosa straordinaria è appena accaduta: il Papa è “di casa”. E anche la scienza, per un attimo, ha taciuto.
«Eravamo tutti lì, fermi, occhi puntati sullo schermo in diretta da San Pietro, ognuno con il cuore che batteva a modo suo», racconta Graziano Pinna, scienziato originario di Oristano e oggi direttore del PinnaLab, un centro di ricerca internazionale con sede proprio a Chicago.
«Nel laboratorio lavoriamo con persone che arrivano dal Nepal, dall’Argentina, dalla Siria, dal Libano, dall’Italia… una piccola Onu tra vetrini e modelli sperimentali. Ognuno con la propria lingua, la propria fede o nessuna fede». Eppure, in quel momento, qualcosa li ha uniti. Non necessariamente per ragioni religiose. Ma per la forza di un simbolo che ha attraversato oceani, culture, ideologie. Il nuovo Papa è uno di loro. Un uomo della loro città, delle loro strade. «Quando hanno detto che Leone XIV è di Chicago, un brivido ci ha attraversati tutti. Un silenzio irreale. Come se ci fossimo riscoperti parte di qualcosa di più grande, che ci includeva e ci parlava».
Pinna lo racconta con emozione. «Non è solo la notizia di un nuovo Papa. È il simbolo di un ponte tra mondi: tra il Midwest americano e Roma, tra scienza e spiritualità, tra credenti e non credenti. Ma tutti uniti dalla speranza di un mondo in pace tra i diversi Popoli nel vicino futuro».
Tutti hanno sentito che anche dietro i numeri, le formule, i neuroni, si nasconde una fame antica di significato. «Per un momento, ci siamo sentiti tutti parte di qualcosa di più grande, di una storia che si scriveva davanti ai nostri occhi. E, forse, anche un po’ più vicini tra noi», conclude il ricercatore sardo.
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