È il 31 marzo del 2005 quando nel centro residenziale di cure palliative di Pinellas Park, in Florida, moriva Terri Schiavo. Aveva 41 anni.

Impiegata statale, nel 1990 aveva subito un arresto cardiaco dal quale riportò gravi danni cerebrali. La diagnosi fu drammatica: stato vegetativo persistente.

Il suo caso salì alla ribalta delle cronache di tutto il mondo a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, quando il marito e tutore legale, Michael Schiavo, chiese la rimozione del tubo di alimentazione. Richiesta fortemente osteggiata dai genitori di Terri, che ritenevano che la figlia fosse viva e cosciente.

Seguirono sette anni di lunghe battaglie giudiziarie, che uscirono dalle aule di tribunale e coinvolsero politici, gruppi di interesse e movimenti per la vita. Il caso finì fino al governo della Florida, all'epoca guidata da Jeb Bush, che cercò di promulgare una legge per impedire che le macchine che tenevano in vita Terri venissero spente.

Il sondino fu staccato e riattaccato per due volte finché la Corte stabilì definitivamente che la Schiavo non avrebbe voluto proseguire le cure.

Per la terza e ultima volta, esattamente 14 anni fa, fu dato il via libera all'eutanasia.

(Unioneonline/D)

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