Il 15 febbraio del 1989 le ultime truppe sovietiche lasciavano l'Afghanistan ponendo fine a una guerra sanguinosa, durata dieci anni, che segnerà per sempre il futuro dell'Afghanistan.

Il conflitto causò un numero di vittime civili stimato tra le 600mila e i due milioni, cui vanno aggiunte oltre 100mila vittime tra i soldati russi e afgani.

L'Armata Rossa invade il Paese alla vigilia di Natale del 1979 (alla guida dell'Urss c'è Breznev), con lo scopo di deporre il presidente Amin per rimpiazzarlo con Babrak Karmal. L'intervento militare tuttavia causa una recrudescenza della guerriglia afgana, spalleggiata dai rifornimenti e l'appoggio logistico fornito da nazioni come Usa, Pakistan, Arabia Saudita e Regno Unito.

Diventa una guerra massacrante, che provoca distruzione e morte e si conclude il 15 febbraio 1989 dopo la firma degli accordi di Ginevra.

L'Afghanistan viene definito per questo il Vietnam sovietico.

La guerra cambierà del tutto la collocazione internazionale del Paese. Dopo l'addio dell'armata sovietica, gli scontri tra mujaheddin e truppe governative proseguono fino al 1992, fino alla caduta del governo.

E' allora che i talebani prendono il comando del Paese, offrendo rifugio a organizzazioni terroristiche come Al Qaeda, capeggiata da Osama Bin Laden, che l'11 settembre 2001 farà abbattere due aerei sulle Torri Gemelle di New York.

(Unioneonline/L)

Febbraio 2021

Gennaio 2021
© Riproduzione riservata