Rinvio, come si conviene in un Paese chiamato Italia. Il Tribunale di Milano, sezione fallimentare, decide di non decidere. Il possibile crac del secolo è scritto nei numeri e nella requisitoria dettagliata del Pubblico Ministero. Per i giudici, però, bisogna attendere ancora. Tutto rinviato al 24 maggio prossimo. Tirrenia-Cin prende fiato, ma la strada è sempre più stretta dopo lo scontro senza precedenti di ieri mattina. Altro tempo a disposizione per trovare un’intesa che sino ad oggi, dopo quasi un anno, è sempre stata annunciata come imminente, ma poi mai raggiunta. Il tema è chiaro. Onorato deve restituire ai suoi creditori, Stato compreso, ben 740 milioni di euro. Debiti sonanti. Il patron di Mascalzone Latino, però, non solo non vuole restituire quei denari ma se anche volesse non saprebbe dove andare a prenderli.

La contesa – La proposta che ha rivolto a banche, bondholders, gli obbligazionisti del bond da 300 milioni, ha una filosofia di fondo: accontentatevi di prendere una parte minima, meno del 30%, dei vostri soldi fra cinque anni piuttosto che prendere poco o niente con il fallimento. Una buona parte dei creditori è, invece, convinta dell’esatto contrario: fallendo adesso il valore delle navi di Moby – Tirrenia sarebbe sufficiente a coprire molto più di quanto offre Onorato. Tra cinque anni le navi varranno molto meno, senza alcuna garanzia concreta per il futuro.

Lo scontro, dunque, è violentissimo e si gioca non sulla filosofia del diritto, ma sul peso del denaro. Da una parte una pattuglia agguerrita di legali e dall’altra, all’esterno, le palle incatenate del gruppo di Mascalzone Latino che tentano di aprire, con proclami e non solo, le vie di fuga dal fallimento. Il primo grande bersaglio degli uomini di Onorato sono i tre commissari della cosiddetta “bad company” di Tirrenia, ovvero la parte della compagnia di navigazione pubblica che ha tenuto debiti e crediti. Lo scontro è prima di tutto giudiziario.

La richiesta di nuovo rinvio arriva dopo le prime schermaglie processuali, ma soprattutto quando il cannoneggiamento esterno coinvolge direttamente il premier Mario Draghi. Poco dopo mezzogiorno Onorato, infatti, scrive, con il suo amministratore delegato Massimo Mura, direttamente all’inquilino di Palazzo Chigi. La sintesi è senza preamboli: se i commissari di Tirrenia in amministrazione straordinaria non firmano l’accordo il rischio è di mettere per strada 6.000 dipendenti. La formula di Onorato non cambia, nonostante i dipendenti siano molti meno e soprattutto garantiti dalle clausole sociali.

La richiesta è quella di convocare un vertice ad horas, già per il pomeriggio di ieri, per trovare un’intesa. Il governo non risponde. Dopo lo scontro in prima mattinata tra le indicazioni del Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, concorde con i commissari straordinari per firmare l’accordo solo a determinate condizioni, la posizione del governo resta attendista. Il pressing esterno entra, però, a gamba tesa nell’aula del Tribunale.

A sbloccare lo stallo ci pensano i legali di Cin con una mossa ad effetto: «Dateci una proroga, se entro quella data non sarà raggiunto l’accordo sarà direttamente Onorato a dichiarare lo “stato d’insolvenza” aprendo le porte alla procedura di amministrazione straordinaria». E’ a quel punto che Alida Paluchowski, Presidente del Tribunale decide di accettare il patto non scritto. Rinvio sia, ma se non interverrà l’accordo la strada per il gruppo Onorato è segnata. Di certo la trattativa extragiudiziale non potrà riguardare pochi spiccioli.

Il piano della holding Moby Cin Tirrenia era stato giudicato totalmente inadeguato sia dai commissari statali e giudiziali oltre che dai bondholders. A ritenerlo pericoloso per tutti i creditori erano stati, soprattutto, gli stessi commissari nominati dal Tribunale.

Fuori Onorato – Tutti, a gran voce, chiedono che non sia Onorato a governare l’eventuale processo di ristrutturazione. Un elemento di non poco conto dopo la requisitoria documentale del Pubblico Ministero Roberto Fontana che ha snocciolato, come un rosario, spese pazze e un elenco smisurato di ricchi stipendi e auto da regnanti inglesi. Tutti elementi che hanno iniettato diffidenza a piene dosi. La partita, per ora, lascia Milano e si sposta a Roma. Anche in quel caso, però, non basteranno ammiccamenti e proclami.

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