Moda sarda in sofferenza: in 6 anni perse 62 aziende
Il report di Confartigianato: a pesare la domanda mondiale debole nella ripresa post CovidNell'Isola il settore della moda soffre ancora per il ritardo nella ripresa post-Covid. La domanda mondiale debole, infatti, sta influendo negativamente anche sulle 338 micro e piccole imprese, di cui 268 artigiane (il 79,3%), che operano in Sardegna nei settori tessile, abbigliamento, calzatura, sartoria, occhialeria, gioielleria e componenti del prodotto moda e quindi su stilisti, sarti, produttori e designer di abiti, calzature e accessori d'abbigliamento.
Solo 6 anni fa le attività sarde del settore erano circa 400.
Del totale delle attività produttive artigiane di oggi, 105 sono dell'abbigliamento, 122 del tessile e 41 della lavorazione della pelle, con 539 addetti artigiani sui 798 complessivi nel settore.
Sono questi i numeri più recenti elaborati dall'Ufficio Studi di Confartigianato Sardegna nel dossier "Il ritardo della ripresa della Moda nell'Isola", su dati Istat, che confermano la vocazione artigiana del comparto.
A Cagliari le piccole imprese del settore sono 95 con 299 addetti, nel Sud Sardegna 41 con 64 dipendenti, a Oristano 36 per 82 lavoratori, nel nuorese 60 realtà per 84 impiegati e nel nord Sardegna 106 realtà con 269 addetti. In Italia nel settore sono attive 49.593 micro e piccole imprese con 279mila addetti, il 61,5% del totale del settore. Le 34mila imprese artigiane attive danno lavoro a 139mila addetti, pari al 30,6% dell'occupazione della moda.
«Simbolo del Made in Italy nel mondo, la moda è il fiore all'occhiello della tradizione manifatturiera artigiana sarda e italiana - affermano Giacomo Meloni e Daniele Serra, presidente e segretario di Confartigianato Imprese Sardegna - tantissime creazioni sartoriali dal taglio perfetto, calzature in materiali di alta qualità e accessori su misura. Pezzi veramente unici che il mondo ci invidia».
«Non dobbiamo, però, nascondere come la sartoria artigiana, negli ultimi vent'anni, sia stata abbandonata a se stessa, sacrificata sull'altare di prodotti di massa e delle griffe internazionali - proseguono presidente e segretario - per fortuna la globalizzazione, la massificazione e l'omologazione hanno scatenato un fenomeno di pari forza ma opposto: la voglia di personalizzazione, originalità, qualità e buon gusto».
«Quella attuale è una situazione difficile ma che si registra da tempo e che negli ultimi mesi si è aggravata per tutto il settore TAC (tessile, abbigliamento, calzature) - rimarcano Meloni e Serra - i problemi più gravi lamentati dalle imprese sono: il costo del lavoro, il calo degli ordinativi, i costi delle materie prime e dell'energia ma le nostre imprese restano ottimiste e provano a reagire, incrementando le azioni promozionali e cercando di essere più presenti sul mercato».
«Inoltre la frammentazione delle commesse e l'incertezza della programmazione stanno attivando una spirale pericolosa che richiede interventi immediati», concludono.
A LIVELLO NAZIONALE – Nel primo trimestre del 2024 la produzione manifatturiera scende dello 0,9% rispetto ai tre mesi precedenti e del 3,1% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. La moda è il settore del made in Italy che segna la performance peggiore, con la produzione del tessile, abbigliamento e pelli che segna un calo congiunturale del 3,5% e dell’8,8% su base annua, con una grave accentuazione (-9,3%) a marzo del 2024. Nel dettaglio per settore, il calo della produzione del 4,8% registrata nel comparto del tessile si amplifica al -8,9% per l’abbigliamento e arriva alla doppia cifra (-14,8%) per la pelle.
(Unioneonline/v.l.)