Il 60% dei terreni agricoli in Sardegna è destinato a prati o pascoli. E questo, assieme al fatto che coltivazioni di pregio come viti, olivi e frutteti siano molto marginali, espone il territorio a molti rischi.

È quanto emerge da un rapporto della Cna Sardegna, che fa il punto sulla situazione e sulle caratteristiche del territorio sardo.

In totale nell'Isola il suolo "consumato" ammonta a soli 90mila ettari: una percentuale bassa rispetto alla media nazionale, con un 3,7% contro la media italiana del 7,7%.

Anche rispetto al consumo delle coste la Sardegna ha percentuali inferiori rispetto a regioni analoghe per estensione dei litorali e potenzialità turistiche: solo il 6% del suolo consumato ricade nella fascia costiera (300 metri dalla linea di costa). Altro dato positivo è la grande percentuale di suolo non consumato adibita ad uso agricolo: 48% contro una media nazionale che si attesta al 43%.

E qui finiscono le buone notizie: in una regione con forte vocazione alla pastorizia, il 60% della superficie agricola è adibita a prati o pascoli a fronte di una media nazionale molto più bassa, che si attesta al 26,7%. E i terreni rurali rimangono esposti a diversi rischi: innanzitutto quello idrologico, ma anche di abbandono o cambio di destinazione d'uso.

"Il dibattito sul consumo del suolo rappresenta uno dei temi centrali attorno al quale sviluppare un modello di sviluppo socio-economico sostenibile e duraturo per la nostra Isola - spiegano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, presidente e segretario regionale della Cna Sardegna -. La tutela e la valorizzazione delle aree rurali è un elemento fondamentale nei progetti di sviluppo regionale, sia per rispondere alle esigenze di primarie connesse all'approvvigionamento alimentare e al superamento del deficit tra domanda e offerta locale, sia per la tutela del territorio e la promozione del paesaggio: la definizione della legge sul governo del territorio regionale deve costituire un'opportunità in tal senso".

(Unioneonline/D)
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