Le coincidenze sono maledette per i cattivi pensieri. Il decreto che di fatto cancella la Regione Autonoma della Sardegna per trasformarla in “colonia energetica” dello Stato italiano varca la soglia di Palazzo Chigi nella settimana cruciale per l’avvento americano sul mare di Sant’Efisio, nel Golfo degli Angeli. Tutte casualità, sino a prova contraria. Di certo, però, quelle date che si sovrappongono sono una fatalità che la Sardegna pagherà cara. Da una parte un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ormai imminente, che cancella per sempre la speranza di un’Isola alla pari delle altre regioni italiane ed europee e dall’altra il “closing” dell’operazione a stelle e strisce per scalare la società e i progetti destinati ad infilzare 93 gigantesche pale eoliche nel Golfo che fu degli Angeli, da Sarroch a Nora, dalla Saras a Capo Carbonara, a Villasimius.

Piano Sardegna colonia

Il piano di invasione eolica e fotovoltaica, in terra e in mare, della Sardegna viaggia su strade diverse ma parallele. Entrambe percorrono la stessa direzione e puntano alla stessa meta: la Sardegna. Da una parte Palazzo Chigi, dall’altra Piazza degli Affari, nel cuore della city milanese. Nel palazzo del potere politico è appena entrato il testo finale del decreto “Sardegna Colonia energetica”, quello che commissarierà in tutto e per tutto la Regione Sarda. Nel palazzo della Borsa a Milano, invece, si attende la firma del “closing” per trasformare in americana la società verde che fu della famiglia dell’acciaio italiano. Da una parte Mario Draghi, il fu banchiere d’Europa diventato per chiamata divina Presidente del Consiglio dei Ministri, e dall’altra i più accaniti sostenitori mondiali del governo italiano in carica, i banchieri del più grande forziere finanziario americano, quello della J.P.Morgan.

Coincidenze in rosso

Un dato è certo, questa è la settimana cruciale per quelle strane coincidenze politiche, energetiche e affaristiche, capaci di trasformarsi in un attimo in dirompenti e nefaste certezze per le sorti della Sardegna. E’ difficile ipotizzare una regia delle coincidenze, nel calendario, però, le date sono cerchiate di rosso. La prima mossa l’ha segnata la Falck Renewables, la società della famiglia Falck che ha pianificato lo sbarco in Sardegna con due giganteschi progetti di eolico offshore, uno nel Golfo degli Angeli e uno in fase avanzata nelle acque della Costa Smeralda. La comunicazione alla Borsa di Milano è del 14 febbraio scorso. Il contenuto della missiva in Piazza degli Affari è tecnica: si sono avverate tutte le condizioni per l’acquisizione, da parte di Infrastructure Investments Fund (IIF), il fondo della J.P.Morgan, del 60% del capitale di Falck Renewables. Dunque, la banca americana può comprare. La data della firma è fissata dieci giorni dopo l’annuncio.Il prossimo 24 febbraio si sottoscrive.

Cattivi pensieri

Le coincidenze, ancora una volta, non mitigano i cattivi pensieri. Il giorno dopo l’annuncio alla Borsa della data del “closing” italo americano è il Ministro della Transizione Ecologica a sciogliere la sua riserva sul Decreto “Sardegna Colonia”. Sono le 18 e 43 minuti del 15 febbraio quando il fisico prestato alla politica trasmette il testo ai suoi colleghi, Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo Economico e Enrico Giovannini alle Infrastrutture.

Il ferrarista lumaca

Un tempismo, però, che non si può certo definire da centometrista incallito. Di Roberto Cingolani, (foto a sinistra) Ministro del cerchio magico di Draghi, si poteva dire di tutto, ma non che nella sua vita professionale non avesse sposato la causa della velocità estrema. Non è un caso, infatti, che, poco prima di varcare il soglio ministeriale, sia dovuto correre a destra e a manca per dimettersi dagli incarichi di vertice nella fabbrica statale dei missili, la Leonardo, e addirittura della rossa Ferrari di Maranello. Quell’indole spaziale per la velocità supersonica è, però, miseramente franata all’incedere dei ritardi e delle coincidenze di Palazzo.

Il decreto subdolo

Il decreto neocoloniale per imporre le sorti energetiche di Stato alla Sardegna, quello che dovrà firmare Draghi, era stato previsto con un provvedimento legislativo dal titolo tanto accattivante quanto subdolo: «Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure». Il numero della legge è la 108, entrata in vigore il primo giugno del 2021. E’ in quel testo, con il rango di legge ordinaria, che è stata decisa la procedura per imporre alla Sardegna di tutto e di più, commissariandola di fatto sia sul piano delle scelte sostanziali in campo energetico che su quello decisionale e amministrativo.

Trenta giorni infiniti

Il dispositivo prevedeva: «Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della Transizione Ecologica, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico e il Ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile, sono individuate le opere e le infrastrutture necessarie al “phase out” dell'utilizzo del carbone nell'Isola». Trenta giorni di tempo dall’entrata in vigore della norma, ovvero il provvedimento doveva essere adottato entro il primo luglio del 2021.

240 giorni di ritardo

Quella proposta di decreto, noto come “Dpcm Sardegna”, però, a Palazzo Chigi, sulla scrivania di Mario Draghi, entro quei termini, non è mai arrivato. Quei trenta giorni sono diventati otto mesi, alla faccia dell’accelerazione delle procedure e dell’urgenza indifferibile. Duecentoquaranta giorni di ritardi e una coincidenza da far rabbrividire. Il testo del decreto, infatti, scandisce in maniera chiara e inequivocabile i veri progetti del governo, fatalmente coincidenti con quelli che hanno spinto gli americani a lanciare l’Opa d’acquisto per la Falck Renawables, la società delle rinnovabili che più di tutte si era spinta nell’invasione del mare di Sardegna. Il decreto, che Draghi non ha ancora firmato, non passerà al vaglio né del Parlamento e tantomeno della Regione Sarda. Il testo entrerà in vigore non appena Mario Draghi apporrà il suo sigillo finale, ipotizzabile già nei primi giorni di questa settimana.

Bussare da Amato

E per la Sardegna non ci sarà altra strada: subire l’onta di un commissariamento, oppure bussare alla porta di Giuliano Amato, neo Presidente della Corte Costituzionale. Del resto nel testo che Cingolani ha trasmesso ai suoi colleghi, prima dell’invio a Palazzo Chigi, non ha mai fatto cenno alla Regione Sardegna. Mai. Non si leggono nemmeno le più elementari formule di rito, tipo: “sentita” la Regione. Niente di tutto questo. Agli atti non risulta, almeno formalmente, nemmeno una minima interlocuzione istituzionale e politica. Un decreto che rischia, dunque, di essere subito per accondiscendenza politica da tutti coloro che risultano coinvolti, sia in Sardegna che a Roma, con la maggioranza che sostiene il Governo del paese.

Vulnus storico

Il vulnus rischia, però, di essere gravissimo per l’Autonomia regionale. La mancata impugnazione dell’imminente decreto di Draghi, (la Regione ha sessanta giorni di tempo per presentare ricorso alla Corte Costituzionale dall’entrata in vigore) rischia di costituire un precedente che segnerà in maniera indelebile l’Autonomia regionale. Basti solo un elemento per comprendere la rilevanza di questo atto nei rapporti Stato – Regione. Nell’ultimo scontro costituzionale tra viale Trento e Palazzo Chigi l’alta Corte ha sancito un principio chiaro, anche se discutibile: in materia urbanistica e paesaggistica è obbligatoria la co-pianificazione tra Stato e Regione. In pratica, secondo la Corte, soprattutto nella materia paesaggistica, la Regione, pur avendo competenza esclusiva, non può decidere senza il coinvolgimento dello Stato.

Poteri a senso unico

In questo ormai prossimo decreto, invece, lo Stato cancella di fatto non solo il principio dell’obbligatoria “Co-pianificazione”, ma anche il diritto della Regione di partecipare alle decisioni ambientali e paesaggistiche in materia energetica. Si pensi, per esempio, al piano del Governo per installare nell’Isola almeno il triplo delle pale eoliche già esistenti. Senza il ricorso di viale Trento alla Corte Costituzionale si metterebbe una pietra tombale sulla competenza primaria della Regione nel “Governo del Territorio”, oltre a quella specifica in materia di “Energia”. Saremo dinanzi ad una Regione commissariata nel suo stesso fondamento autonomistico, dando il via libera ad un piano energetico coloniale con il Governo Draghi schierato, senza remore, a sostegno di quella devastante invasione eolica, a mare e a terra, che rischia di segnare per sempre il futuro dell’Isola. A tutto questo, poi, si deve aggiungere il capitolo del gas. I progetti di Palazzo Chigi traguardano il Medioevo energetico: bettoline, carri bombolai e tariffe differenziate alle stelle. Tanto, per coincidenza, guadagnano gli americani.

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