Più della metà dei giovani tra i 15 e i 24 anni non ha un lavoro: l'Isola in questa - triste - classifica è addirittura nella top ten d'Europa: sesta nel Vecchio Continente, terza in Italia. Ecco perché la proposta di aiutare le assunzioni delle nuove generazioni fatta dal Governo sembra cucita su misura per la Sardegna: contributi cancellati per i primi tre anni di contratto per tutto il sud, dimezzati in tutto il resto della nazione.

"È una strada", ha detto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, anticipando che con la manovra finanziaria potrebbe arrivare anche "un ventaglio più ampio di strumenti di azioni, dagli investimenti al sostegno all'occupazione".

I COSTI - Le tasse e i contributi previdenziali asciugano lo stipendio dei lavoratori fino alla metà. Ribaltando il punto di vista, costano all'azienda il doppio di quello che arriva in ogni busta paga.

La Cgia di Mestre ha calcolato che una stipendio di 1.350 euro netti il costo del lavoro incide per il 41,5 per cento, mentre su un salario di 1700 euro schizza addirittura al 46,8 per cento.

"INCENTIVI FONDAMENTALI" - Nell'Isola in cui abbondano i giovani neet , acronimo inglese di "not engaged in education, employment or training", ossia una persona non impegnata nello studio, nel lavoro o nella formazione, è giusto che vengano messe in campo misure straordinarie.

"Le condizioni di partenza sono diverse rispetto al resto d'Italia, quindi bisogna trovare soluzioni diverse per la Sardegna e per tutto il Mezzogiorno, in modo da stimolare la ripartenza", dice Ignazio Ganga, segretario generale della Cisl regionale.

Non bisogna trascurare però la formazione: "Viviamo in un contesto in cui 51mila persone hanno la quinta elementare e 181mila la terza media. Ci stiamo avviando verso la quarta rivoluzione industriale in queste condizioni, servono misure anche per stimolare la preparazione e la professionalizzazione dei nuovi assunti".

INTERVENTI DEFINITIVI - Qualcuno storce il naso per la precarietà degli interventi: dopo tre anni, tutto tornerebbe come prima. E c'è il rischio che i dati del mercato del lavoro vengano "drogati" da sgravi a pioggia.

Meglio, semmai, un provvedimento a lunga scadenza: "Non ci sono elementi di chiarezza sulle risorse che il governo intende riservare a questa proposta. Bisogna avere garanzie che non ci siano penalizzazioni sul versante pensionistico per i giovani. Sarebbe sicuramente meglio che Palazzo Chigi studiasse un piano straordinario di lavoro", dice Fulvia Murru, segretario della Uil Funzione pubblica.

"Nella proposta Poletti si parla solo dei primi 3 anni di sgravi, noi invece abbiamo bisogno di interventi strutturali. Finiti i bonus ci sarà la tendenza a licenziare, bisogna invece agire sui costi dei licenziamenti, così si scoraggia questa pratica".

Per quanto riguarda le risorse, poi, "basterebbe agire seriamente sull'evasione fiscale, sulla corruzione e sull'usura per reperire ciò che serve a finanziare sviluppo, lavoro e pensioni".

IL RISCHIO - A proposito di pensioni: gran parte del prelievo statale sulle buste paga va alla previdenza sociale.

Lo sgravio ipotizzato da Poletti per incentivare le assunzioni potrebbe creare una voragine sul versante pensionistico: "Meglio non agire sulla leva contributiva, perché quelli sono soldi che vanno sulle pensioni. Sarebbe spiacevole scoprire che i conti dell'Inps sono sbilanciati", spiega Michele Carrus, segretario generale della Cgil.

I rappresentanti del sindacato più importante d'Italia sono scettici di fronte alla proposta del governo. "Ogni giorno ne sentiamo una nuova. Servono proposte sostenibili e serie. La politica degli sgravi non produce effetti duraturi, specialmente quando è concessa a tutti, in maniera indiscriminata. Per migliorare il mercato del lavoro servono un turn over pensionistico e investimenti".

Michele Ruffi

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