“Dalla de-regulation alla re-regulation”: spiega bene la situazione nell'Isola, e come muoversi per invertire il trend negativo del commercio al dettaglio, lo studio dell'Università di Sassari promosso dalla Confesercenti regionale.

Nell'aula magna dell'ateneo sassarese, alla presenza del rettore Gavino Mariotti, sono stati presentati i numeri e l'evoluzione. Nel 2021 a fronte di 923 aperture, sono state ben 1325 le serrande abbassate, con saldo di -402. Mentre bar e ristoranti hanno fatto registrare un piccolo saldo positivo: +22.

Lo studio ha evidenziato che se per i centri sardi dai 30mila abitanti in giù si va per il commercio al dettaglio dallo 0,6 allo 0,9% di chiusure ogni mille abitanti, la situazione cambia per le tre maggiori città isolane: a Olbia l'incidenza delle chiusure è di 1,7%, a Cagliari e Sassari dell'1,4%.

Roberto Bolognese, presidente della Confesercenti sarda, e Domenico D'Orsogna, ordinario di Diritto amministrativo dell'Università di Sassari, hanno spiegato che “il decreto Bersani del 1998 ha introdotto la liberalizzazione delle attività commerciali, ma prevedendo una notevole attività attuativa delle Regioni e degli Enti Locali, che invece hanno lasciato fare portando a una deregulation evidente. Gli effetti negativi sono stati poi accentuati dalla pandemia. Invece bisogna ri-regolare e riprogrammare le attività commerciali tenendo conto anche dell'utilità sociale, di ambiente, salute e attrattiva turistica”.

Qualche esempio virtuoso c'è: il Comune di Firenze e la Toscana che si sono dotati già cinque anni fa di provvedimenti per tutelare le botteghe artigiane, le librerie e i tradizionali esercizi commerciali di vicinato.

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