Prima ci si disperava per molto meno. Era sì un virus ma colpiva computer, non persone. Talvolta provocando danni economici spaventosi ma, almeno, senza lasciare cadaveri per terra. Ora siamo al paradosso: il Covid-19 minaccia la vita degli essere umani in tutto il pianeta ma fa bene alle tecnologie, nel senso che costringe anche i più riottosi a misurarsi con computer, tablet, smartphone e reti internet. Non foss'altro perché, con il telelavoro imposto dall'isolamento deciso per combattere la pandemia, se vuoi lo stipendio con la tecnologia devi per forza confrontarti. E questo confronto non risparmia le reti per il Web, scandalosamente arretrate proprio in Sardegna che Internet l'ha importata in Europa nel 1994 con Video on Line e con il primo quotidiano sul Web in tutto il continente: L'Unione Sarda. Sono ancora moltissimi i Comuni sardi fermi all'Adsl e che la fibra ottica, purtroppo, nemmeno sanno che cosa sia. Non lo sapranno ancora a lungo.

Mentre s'investono nuovi capitali per crearla e farla funzionare (per la fibra ottica non sempre le due cose coincidono, per quanto strano sia, ed è dovuto ai profitti scarsi che le compagnie ne trarrebbero in zone non popolose e quindi non l'attivano), all'improvviso ci si ritrova tutti "dentro", anche chi i computer li aveva schifati fino ad ora. Gli studenti - anche i più piccoli - a scuola fino alle Università, i lavoratori di ogni settore compresi gli enti pubblici, gli insegnanti, i giornalisti, gli impiegati, gli operatori di call center.

In alcune emittenti televisive, tra cui Videolina, il telegiornale è realizzato anche da giornalisti che si collegano, scrivono e montano da casa propria, poi inviano i servizi attraverso la fibra ottica (se esiste nella loro zona). Nei Comuni, tutta la partita dei contributi alle famiglie impoverite dal Covid-19 (perché gli adulti lavorano per realtà produttive chiuse per decreto del presidente del Consiglio) è stata gestita dal personale comunale, regionale e dell'Inps dallo studio o dal salotto di casa. In qualche caso sono successi pasticci giganteschi, mentre altri colleghi erano più "smart" e sono partiti già bene, sempre che la banda di connessione del loro datore di lavoro sia sufficiente per tutti quegli accessi alla rete dall'esterno.

Zoom, Gsuite educational di Google (gratis per le scuole e le università), WeSchool, Vebex di Cisco, Microsoft Team e altre piattaforme per la videoconferenza - utilizzata per le riunioni nelle aziende, per fare lezione agli alunni a casa da parte degli insegnanti, a loro volta a casa - sono entrate nel patrimonio di conoscenze dei lavoratori e degli studenti italiani. Certo, qualcuno non ha preso le dovute accortezze (ad esempio, dotare la conversazione di una password per impedire agli estranei di entrare e seminare il disordine), e questo ha compromesso talvolta la riservatezza di aziende in teleconferenza.

Il vero problema, però, è stato trovare i computer portatili: «In questo settore comanda la Cina», sospira Virgilio Porcu, cagliaritano, di Vap Informatica, «e durante l'epidemia nella loro nazione avevano smesso di spedirli. Qualcuno era rimasto nei depositi europei, poi è iniziata la speculazione con gli aumenti di prezzo: un portatile da 700 euro si comprava a 1.200 euro, per di più con la tastiera tedesca». Ora la Cina ha ripreso a spedire, ma non più attraverso le nave merci: «Con l'invio attraverso corrieri aerei, i prezzi sono aumentati», fa notare Porcu, «e tuttora non si trovano cuffie, microfoni e casse audio».

Dunque, partenza con il freno a mano tirato per mancanza di computer: «Molti l'avevano già in casa, in qualche caso troppo vetusto», ricostruisce Porcu, «e poi lo Stato pretende giustamente una certificazione del referente informatico che garantisca l'assenza di virus, trojan e spyware, per non infettare il sistema centrale della Pubblica amministrazione». Non basta: il telelavoro (o smart working, per gli esterofili) richiede anche una linea internet a casa e si è scoperto che molti non ce l'hanno. Lavorare con la rete dati dei cellulari, utilizzati come modem, significa prosciugare in fretta la dotazione di giga, quindi si devono trovare sim card telefoniche con molti più dati e ricaricabili senza spendere un capitale, per consegnarle ai lavoratori che non hanno connessione casalinga.

È quel che succede anche a bambini e ragazzi che, con il confino in casa stabilito dai vari decreti del presidente del Consiglio del ministri Giuseppe Conte, seguono dalla loro cameretta le lezioni organizzate dalle scuole. I meno abbienti hanno ricevuto a casa un computer o un tablet in comodato d'uso gratuito, che a fine emergenza dovranno restituire. In diversi casi, è stato necessario dotarli anche di una sim card per la navigazione, altrimenti rimarrebbero tagliati fuori dalle lezioni.

Anche in questo caso, però, l'emergenza è andata a stanare non solo le famiglie poco informatizzate, e che ora lo sono per via delle lezioni in videoconferenza dei figli, ma anche i docenti che erano rimasti nell'era analogica. «Il corpo docente italiano viaggia su una media di 55 anni di età, quindi non è giovane», analizza Alessandra Patti, 50 anni, dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo di Sestu: sono iscritti oltre mille bambini ed è una delle quindici scuole italiane nel Polo nazionale delle avanguardie educative. Eppure, sorpresa: «Con questo passaggio dalla parola detta in classe alle videolezioni, proprio i docenti più anziani si sono rivelati i più dinamici». Nella rete ci sono anche scuole del Nord Italia: «Hanno affrontato l'epidemia prima di noi», ricorda Patti, «ascoltare le loro esperienze nella chat, adattare e migliorare i loro protocolli ci hanno aiutati tanto».

La ministra dell'Istruzione, Luciana Azzolina, viene dal mondo della scuola: «Al di là delle questioni politiche», commenta Patti, «sa di che cosa abbiamo bisogno e devo riconoscere che il Governo nazionale, e anche la Regione, hanno stanziato cifre interessanti per l'istruzione durante quest'emergenza» La didattica a distanza funziona, ma su un punto chi lavora nel mondo della scuola è d'accordo: «Uno strumento eccellente, migliore però solo rispetto alla sospensione dell'attività didattica, che richiede la presenza personale. A scuola», ricorda la dirigente Patti, «si va non soltanto per studiare, ma anche per imparare a relazionarsi con gli altri, quindi la videodidattica è un ripiego, per quanto eccellente. Quando tutto questo finirà, però, si torna in aula: la scuola vera è lì».

Ma neanche così, sarà tutto come prima: le innovazioni tecnologiche sono entrate nelle scuole, la confidenza con le piattaforme per le teleconferenze ci sarà già e il mondo dell'istruzione, dal bambino all'insegnante, non dovrà più cominciare un percorso sconosciuto: solo proseguirlo. E allora sì, basterà un antivirus.

© Riproduzione riservata