C'è una parola che suona come una chiusura, che pare contraria alle regole della buona educazione e che invece va rivalutata e questa parola è “no”. Noi donne siamo per cultura abituate a compiacere, a sacrificarci, a essere sempre disponibili ai bisogni degli altri, ma così facendo rischiamo di rinnegare noi stesse. Durante il lockdown ci siamo occupate della casa, dei figli, dei genitori anziani, senza farci mancare il (non proprio) smart working. In settimana la giornalista Daria Bignardi ci ha incitate provocatoriamente alla ribellione estiva, suggerendoci di appropriarci di quella ricetta magica «che gli uomini conoscono e custodiscono, consapevoli del potere che gli dà riposarsi e farsi i fatti propri». Chi, come me, crede nelle rivoluzioni gentili, può cominciare dalle piccole cose. Proviamo a dire no alla pretesa degli altri di trovarci sempre connesse e disponibili, no all'amica che adoriamo ma che a volte ci porta via troppa energia, no a nostro figlio/a che oggi vuole la parmigiana mentre noi avevamo programmato la mattinata al mare con il nostro libro preferito in borsa. «La capacità di dire no dimostra che siete al timone della vostra vita», sostiene in un articolo del New York Times Vanessa Patrick. L'empowerment passa anche da qui. Dell'importanza del no nel rapporto di coppia, ci parla Asha Phillips nel suo saggio best seller “I no che aiutano a crescere”: per essere adulto un rapporto deve essere formato da due persone distinte che scelgono di state insieme, senza volersi compiacere a tutti i costi. La vera intimità nasce dalla libertà di scelta.

Claudia Rabellino Becce
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