L'omaggio più divertente è il nome scelto alla cornacchia che gli fu donata da un bambino e dalla Barbagia la portò dentro una scatola di cartone nella sua casa, a Roma. La chiamò Orune e, pur immersa nel contesto cittadino di palazzo Artieri, resistette per tre anni. L'omaggio più profondo è riassunto nelle cinque parole che compongono il titolo: "Tutto il miele è finito". Carlo Levi, scrittore e pittore, autore del libro capolavoro "Cristo si è fermato a Eboli", ha frequentato la Sardegna, un po' sulle tracce di David Herbert Lawrence col suo Sea and Sardinia, ma non solo: da Cagliari a Orgosolo, da Sorgono a Tonara. Orune, "patria di pastori e di poeti", come la definisce, è fonte di ispirazione forte e coinvolgente. "Mi si volgeva in mente il ritmo di un canto funebre ascoltato a Orune, dove il morto, il figlio, è il miele della casa, che la padrona ha perduto", spiegava. Da qui il titolo del libro che mette assieme il racconto di due viaggi in Sardegna, compiuti a distanza di dieci anni l'uno dall'altro.

La prima volta lo scrittore mette piede nell'Isola nel maggio del 1952. Levi, torinese nato nel 1902 in una famiglia di tradizioni progressiste, ha talento artistico, una laurea in medicina conseguita lo stesso anno in cui espone alla Biennale di Venezia, passione letteraria e una lunga militanza politica nell'antifascismo che gli è costata cara. Nel 1935 viene arrestato e spedito ad Aliano, in Lucania, per scontare una condanna a tre anni di confino. L'esperienza gli ispira il libro che consacra il suo successo, "Cristo si è fermato a Eboli", pubblicato nel 1945 e tradotto in 37 lingue. Partecipa alla resistenza nel Comitato di liberazione della Toscana. Dopo la guerra l'approdo a Roma. Nel 1956 è senatore nelle liste del Partito comunista. Muore nel 1975.

In Sardegna sbarca per la seconda volta nel dicembre 1962. Itinerario simile al primo con le immancabili tappe a Cagliari e in Barbagia. "Qui, nell'isola dei sardi, ogni andare è un ritornare. Nella presenza dell'arcaico ogni conoscenza è riconoscenza", scrive nel libro, pubblicato nel 1964. Il legame tra i due viaggi è suggellato dalla cornacchia Orune e soprattutto dalla continuità del suo ricordo: porta il nome del paese dove un bambino gliel'aveva donata, assieme alla gemella, ribattezzata Oliena che, però, non sopravvisse al viaggio verso il Continente. Evoca l'arte di Claude Monet per raccontare quel volatile che ha grande forza simbolica ed evocativa, tanto che nel testo diventa "ardita e segreta donna-uccello di Sardegna". "Imparò il canto, mescolando, come i poeti del suo paese, le forme colte e i metri dei fringuelli e degli usignoli con la sua barbara voce arcaica e violenta. E ora, d'un tratto è scomparsa, a cercare forse un poeta del suo paese che scriva, con la sua voce, un attittu per la sua morte. O forse, invece, come ancora spero, è tornata tra i suoi sughereti, nel suo cielo, tra le montagne selvagge, alla sua nuvola".

Il rito di s'attittu ricorre anche nelle intense pagine dedicate a Orgosolo. Racconta la preparazione dell'arrosto allo spiedo, come pure il canto funebre per la morte di un muratore. Levi torna qui nel 1962, in una giornata terribile. Non c'è solo la tragedia sul lavoro di un operaio, ma anche una rapina e l'omicidio di un carabiniere. Torna anche a Orune e va a vedere la casa del muratore che l'aveva ospitato dieci anni prima. Non dice chi è, ma a Orune ancora adesso tutti sanno che è l'abitazione della famiglia di Giovanni Godeval Davoli, intellettuale del paese di cui Levi era amico.

Li univa la comune militanza nel Partito comunista. Davoli aveva accolto lo scrittore nella casa di famiglia, che è quella del muratore richiamata nel testo. Il padre, Ruggero, faceva - appunto - il muratore. Lui era insegnante, archeologo, poeta, fondatore della sezione del Partito comunista, protagonista della vita politica degli anni Quaranta e Cinquanta dominata dalla figura del primo sindaco del paese, Margherita Sanna, esponente della Democrazia Cristiana.

Giovanni Godeval Davoli, morto nel 1972 a 49 anni, è ancora adesso una figura molto cara a Orune che nel 2008 gli ha dedicato il centro servizi culturali di Su Tempiesu. Atto quasi dovuto perché è stato lui ad aver scoperto la fonte sacra. Nel 1953 il proprietario di quel lembo di terra, nascosto in una ripida parete di scisto, mentre cercava di fare un orto ha notato blocchi di basalto che ha pensato bene di mostrare al giovane archeologo di Orune. Davoli, allievo di Giovanni Lilliu, capì subito l'importanza del sito non solo perché quelle pietre vulcaniche arrivavano da lontano, visto che Orune è terra di graniti e scisti. Ma anche per la singolare copertura del monumento, a doppio spiovente. Non solo: il concio terminale del tetto aveva infisse 20 spade votive in bronzo.

Su Tempiesu ancora oggi conserva la sua unicità tra i monumenti nuragici: è un esempio di ingegneria idraulica, a dispetto di pendii ripidi e di tempi sconfinati. Il centro servizi culturali, gestito dalla cooperativa Larco, l'anno scorso ha ospitato oltre seimila visitatori. Gli spazi espositivi mostrano immagini datate sulle fasi del ritrovamento della fonte sacra. C'è la foto di Davoli e una copia della sua tesi di laurea all'università di Cagliari, nel 1950. Carlo Levi qui non era arrivato, ma l'amicizia con Davoli l'aveva aiutato a entrare nella profondità del rapporto tra l'uomo e la natura, a cogliere dall'interno della comunità riti e sentimenti, a narrarne le radici con sensibilità quasi fraterna. "Orune è per me - scriveva Levi - uno dei luoghi della fantasia e della memoria; forse per il suono del suo nome, forse perché l'ho tenuta nella mia casa per anni nella sua forma di uccello, di snella, selvatica carroga dai neri occhi lucenti, con cui avevo finito, in qualche modo, per identificare quel paese". Orune aveva rinnovato tanta familiarità. Nel 1986 aveva ospitato una mostra antologica del pittore Carlo Levi: trenta opere, compreso il suo autoritratto, per raccontare la forza espressiva della sua arte e rinnovare un legame che Orune sente ancora oggi.
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