Il primo errore – Se mi chiedete a quando risale il primo grande errore della nostra Storia, da cui tutto discende fino a giungere al presente della Sardegna: sia nella condizione politica, sociale, culturale e perfino economica, rispondo che è successo senza dubbio intorno al 1000 avanti Cristo quando è arrivato dal mare lo straniero, e l’abbiamo fatto entrare.

A quel tempo i forestieri erano mercanti fenici in cerca di clienti. Venivano da lontano: addirittura dal Libano, un paese del Medio Oriente a nord di Israele molto più piccolo della stessa Sardegna ma con abitanti intraprendenti ed abili nel commercio (un po’ come i Napoletani di un tempo). Viaggiavano in carovana una volta l’anno nella buona stagione con navi a vela e a remi cariche di esotica paccottiglia a volte fatta da loro stessi a volte prelevata dal vicino e opulento Egitto dei faraoni. Con la compiacenza di noi indigeni estasiati dall’offerta di ninnoli e nannoli, s’insediarono pian piano in tutti gli approdi occidentali dell’isola, dal golfo di Cagliari a quello dell’Asinara, prima impiantandovi un modesto mercatino che divenne con gli anni un florido emporio e poi una cittadina commerciale bisognosa di spazio e di sostentamento.

La fine dei Nuragici – Si sa come andò a finire. I Fenici, affiancati dai bellicosi cugini Cartaginesi, assalirono e sottomisero gli indigeni delle ricche zone limitrofe (come a Mont’e Prama, nel Sinis di Cabras) ed inglobarono la fertile pianura lasciando ai Nuragici solo le magre montagne della Barbagia.

Ebbene, pensate che i Sardi di allora, come quelli di adesso, abbiano imparato la lezione? Nemmeno per sogno! Secondo il detto “chiodo scaccia chiodo” nella lotta fra Cartagine e Roma nel 238 avanti Cristo favorirono quest’ultima che in compenso ci tenne soggiogati fino al 534 dopo Cristo, imponendoci la monocoltura cerealicola e portandosi via tutto il grano prodotto nei nostri Campidani.

In verità, lo Stato romano non finì nella data che ho indicato, continuò col nome di Impero bizantino, e durò da noi fino a circa il 900 dopo Cristo, al limite del Millennio appena trascorso, con l’interruzione del periodo vandalico dal 460 al 534.

“De su cancuru a s’arrabiu”; cioè: “di male in peggio”, si direbbe in sardo a Cabras, il mio paese d’origine. I governanti che venivano da Bisanzio, ci caricarono di gravosi tributi per sopperire alle spese di guerra contro i Barbari, contro i Persiani e contro gli Arabi, i nuovi pericolosi nemici che minacciavano l’Europa cristiana.

L’attacco degli Arabi – Erano trascorsi 632 anni da quando era nato in Palestina Gesù Cristo, e un po’ meno da quando aveva predicato l’uguaglianza fra le genti e l’amore reciproco («… amerai il prossimo tuo come te stesso»), allorquando nella immensa, arida Arabia un colto mercante beduino chiamato Muhammad (da noi Maometto), si disse ispirato da Dio/Allah per scrivere il Corano, il libro sacro dell’Islam.

Io l’ho letto tre volte, e in tutte le 114 “sure” non ho mai trovato la parola “amore”. C’è, invece, l’esaltazione della “jihãd”, la guerra santa contro gli infedeli: cristiani ed ebrei; anche se, in verità, il versetto 190-191 della seconda “sura”, raccomanda: “… combattete sulla via di Dio coloro che vi combattono, ma non oltrepassate i limiti…”. Non mi sembra che li abbiamo chiamati né attaccati noi, quando nel 711 i Musulmani presero ad assaltare le nostre coste, pretendendo la “jizya”, il tributo di guerra. Per difenderci arretrammo dalle coste, fondando all’interno le cittadine di Santa Igìa (Cagliari), Oristano, Àrdara e Olbia che divennero le capitali dei quattro Stati medievali.

Ma, questa, è un’altra storia che racconterò più in là.

Francesco Cesare Casula

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