S e il mondo ha una testa pensante qualche rotella si è inceppata. Affidarsi al sultano turco Erdogan per articolare un negoziato di pace è una dichiarazione di fallimento di tutto l’Occidente: da Washington a Londra, da Parigi a Roma, da Berlino a Bruxelles. Un despota che accoglie in casa sua i delegati di Russia e Ucraina è un atto del teatro dell’assurdo. Alle sue spalle, invisibili ma ombre inquietanti, lo Zar di tutte le Russie e l’Imperatore della Cina. In questo scenario confuso di trattative a trazione turca si è inserito Mario Draghi. Da Palazzo Chigi aveva bombardato con parole di pietra il dittatore del Cremlino. Non quanto Biden, che spara frasi come una colt i proiettili in un film western; però quanto basta per apparire ostile. Pochi s’aspettavano che avesse l’ardire o, per dirla alla brava, la faccia tosta di parlare in video con Putin. Schieratasi in favore dell’Ucraina, l’Italia non è più Paese terzo, bensì parte in causa. Per la reciproca diffidenza degli interlocutori l’esito del colloquio è stato deludente. Il Drago questa volta non ha fiammeggiato. Ha scritto argutamente Godfried Bomans: «Se è vietato parlare con la padrona di casa durante una festa importante, non si parla neanche con un generale durante la battaglia». E nemmeno con la fiera durante il suo pasto. Memento.

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