F ake news. Tutti, nell’epoca dell’italiano declinante e dell’inglese invadente, conoscono il significato di questa locuzione, di cui i media fanno uso e abuso. I più sbrigativi la definiscono “bufala”; i più rispettosi della lingua, notizia fasulla oppure bugiarda. I più raffinati, infodemia: fanno una gran bella figura e chi se ne frega se pochi capiscono. Infodemia e pandemia stanno tra loro in rima baciata essendo parenti stretti per via di comuni genitori. Implicitamente lo afferma l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, quando sostiene che il Coronavirus ha generato infodemia, ossia sovrabbondanza di informazioni malate veicolate in tutto il mondo dai mezzi d’informazione di massa. Notizie ingannevoli e distorte costruite artatamente con l’intento di disinformare. Fra tutti i canali il più malefico è il ventre gassoso dei social con le sue flatulenze, che ammorbano le menti più deboli e sprovvedute. Ecco l’ultima: «il virus viaggia nelle lettere e nei pacchi postali provenienti dalla Cina». Una fake news figlia di un lapsus mentale, dietro cui si cela una verità frettolosamente accantonata dall’Oms e dalle anime bianche del politicamente corretto: il Covid-19 è un virus prodotto in laboratorio dalla Cina. Questa non è fake news, non è infodemia. È una verità da non dimenticare.

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