O si apre o si chiude: non ci sono santi anche perché il posto più che all’afflizione si presta alla consolazione. Mario Draghi sa che se al summit dei Grandi della terra alle cinque in chicchere e piattini arriva il tè, in discoteca, quando si fa mattino, tra un ballo e una birretta volano al vento le mascherine e le distanze si accorciano. Come al bar si va per bere, in chiesa per pregare e a scuola per studiare, in discoteca si va per ballare. Senza scomodare Matteo Salvini o Vittorio Sgarbi (che di discoteche se ne intendono), anche il ministro Roberto Speranza, fermo alla “Rotonda sul mare”, e il professor Franco Locatelli, asburgicamente bloccato su “Lilì Marlen”, con un minimo di applicazione scoprirebbero che se si decide di aprire le discoteche si deve mettere in conto la musica a palla e i ragazzi a tutta birra. Altrimenti allo stesso modo si potrebbero aprire le spiagge ma solo fino alla battigia, spalancare i ristoranti ma chiudere le cucine, aprire gli stadi a un pubblico bendato e andare al cinema solo per sgranocchiare popcorn e bere la Coca. Alla base ci saranno motivazioni sanitarie e scientifiche e pure pedagogiche. Ma i professori evitino di spiegarle. Troppe volte ci hanno provato e tutte le volte la gente ha capito che loro non avevano capito.

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