L a formula usata da Grillo per scomunicare il nuovo M5S, “da francescani a gesuiti”, rievoca una storiella cara a Umberto Eco.

Un gesuita e un domenicano pregano insieme in un chiostro. D’un tratto il gesuita si accende una sigaretta e il domenicano obietta: “Io ho chiesto al mio padre spirituale se posso fumare mentre prego: mi ha detto di no”. E il gesuita: “Naturale. Io invece ho chiesto se posso pregare mentre fumo: non c’è problema”. Perciò, vien da dire assecondando l’amaro vittimismo del Grillo spodestato, se i gesuiti possono mettere così facilmente nel sacco i domenicani, teologi raffinati e feroci inquisitori, figuriamoci con quanta disinvoltura hanno potuto sgranocchiare gli umili francescani.

Ma chi legge il mondo più laicamente qualche obiezione ce l’ha. Intanto giova ricordare che i francescani, oltre che poveri e limpidi, furono a loro volta degli inquisitori spietati (d’altronde ricordiamo le espulsioni e le maledizioni per chi non seguiva la linea Casaleggio). Non solo: forse il sornione pragmatismo degli uni e il populismo naïf degli altri sono più connessi di quel che sembra, e magari non è un caso se il gesuita che ha fatto più carriera ha scelto di chiamarsi Francesco. E infine: questo rovesciamento di forze nel M5S non è forse il contrappasso ideale per punire i soli francescani che si siano mai gloriati di aver abolito la povertà?

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