T rump non è un sentimentale, e nemmeno gli ayatollah. Se in America e in Iran si cerca di svuotare le carceri è perché in cella (e in Italia lo sappiamo) il distanziamento sociale è un'illusione, e se il virus attecchisse nei penitenziari sarebbe una catastrofe.

Oggi possiamo decidere chi spedire a casa (i più vecchi, i più malati, chi ha poco da espiare, i condannati per reati lievi), domani no. Se scoppiano rivolte a catena con evasioni di massa - ne abbiamo avuto già un assaggio - chi filtrerà i fuggiaschi, lasciando andare il piccolo spacciatore e bloccando mafiosi e terroristi? Però nelle carceri i casi scarseggiano, obietta qualche securitario, e quindi dentro si è più protetti dal virus che fuori. Splendido: è come se durante un incendio si decidesse che un deposito di benzina è un posto sicuro perché lì per ora si notano poche scintille.

Oggi più che mai clemenza e intelligenza vanno insieme. Eppure, ed è angoscioso ammetterlo, non è detto che prevarranno. La cattività incattivisce, un popolo ai domiciliari non è necessariamente più comprensivo verso i detenuti. Certo, chi è in cella ci sta per un motivo, ma esporlo alla strage per insufficienza polmonare non è retributivo né rieducativo: è una ritorsione feroce e pericolosa. Rinunciamo alla nostra vendetta. O ricadrà su di noi.

CELESTINO TABASSO
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