Bloccati da quasi un mese in Honduras in una vacanza che si è ormai trasformata in un incubo.

Tra i sessanta italiani c'è anche un cagliaritano, Fabrizio Usai, 33 anni, nel Paese dai primi di marzo. Il suo volo di ritorno era previsto per il 17 marzo ma è stato annullato per lo stato di emergenza.

Come lui altre decine di connazionali, tutti con un biglietto in mano che equivale in questo momento a carta straccia, con i collegamenti bloccati. Dodici solo nella capitale, Tegucigalpa. Altri sono sparsi nel Paese del Centroamerica, in attesa di notizie dal consolato italiano con cui sono a stretto contatto.

"Io lavoro in un supermercato e devo assolutamente tornare in Sardegna - racconta Usai, ospitato fortunatamente dalla compagna -. Le frontiere sono chiuse e c'è una psicosi nei confronti degli europei e soprattutto verso gli italiani. Non si respira una buona aria. Qui a giorni alterni si può uscire per fare la spesa. Ci sono stati circa quattrocento contagiati e ventidue morti. Ma nel nord del Paese anche forti proteste per mancato arrivo di prodotti alimentari".

"Personalmente sto bene, a volte è un problema procurarsi generi alimentari, ma tutto sommato non mi posso lamentare - confessa -. So però che gli altri italiani hanno dovuto prolungare il periodo di affitto e sono in difficoltà. E a lungo andare c'è anche un problema economico: dopo un mese cominciano a finire i soldi. La priorità per me è tornare subito: più resto in Honduras più cresce la preoccupazione di perdere il lavoro".

Sono 50mila gli italiani, secondo un'interrogazione parlamentare, che non riescono a rientrare in Italia.

(Unioneonline/D)
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