C’è il mare, naturalmente. Quello che tutti conoscono: limpido, dai colori che sembrano scarichi di vernice azzurra. Nel Sulcis ci sono però anche i segni profondi, bellissimi nella loro unicità, di quello che la Sardegna era ed è. Ci sono le miniere dismesse, che da una ventina d’anni sono diventate una ricchezza culturale (e in chiave turistica) grazie al Parco Geominerario della Sardegna, riconosciuto dall’Unesco come il principale della rete mondiale dei geositi-geoparchi. E' strutturato in otto aree diffuse a macchia di leopardo nell’Isola su una superficie complessiva di quasi 3700 chilometri quadrati che ricadono in ben 81 Comuni.

Le miniere del Sulcis. Tra miniere abbandonate e racconti misteriosi si può attraversare l’Iglesiente per andare alla scoperta di queste zone dell’Isola che non rientrano nei classici itinerari battuti dal turismo di massa. Un itinerario lungo 56 chilometri da percorrere sia a piedi che in auto e divisibile in tre tappe, partendo dalla miniera di Malfidano a Buggerru, arrivando a quelle di Musua e Nebida che si trovano nella zona di Iglesias.

La miniera di Malfidano occupa un ampio canalone che sfocia in mare: gli impianti sono a strapiombo sulle acque azzurre. Spettacolari i ruderi delle laverie, realizzate in pietra e legno e aperture ad arco. La galleria Henry, un tempo percorsa da un treno a vapore, si apre direttamente sul porto. In un fabbricato industriale, in passato usato come officina e falegnameria, è stato allestito il museo sulla storia di Buggerru.

La miniera di Masua è affacciata di fronte al bellissimo paesaggio sovrastato dal faraglione Pan di Zucchero, isolotto staccatosi in passato dalla terraferma a causa dell’erosione delle acque. Molto suggestivo è il pontile a sbalzo sul mare da dove venivano caricati i materiali direttamente sulle navi da trasporto. Nel complesso si trova anche un museo dove sono conservate le antiche attrezzature dei minatori ed infine è possibile proseguire verso Porto Flavia che si trova nella zona di Masua. All’interno della miniera si trova un tunnel che finisce a strapiombo sul mare. Nebida, infine, miniera di piombo e di zinco, è stata uno dei centri più attivi della Sardegna. Intorno alla miniera si trovano ancora i resti dell’antico villaggio con le abitazioni, l’infermeria, la zona della lavanderia e un monumento d’architettura, la laveria La Marmora. Il villaggio offre una straordinaria vista panoramica che spazia verso il mare e l’orizzonte.

Le altre. Nella parte settentrionale dell’Isola le attività minerarie più rilevanti si sono concentrate all’Argentiera e a Canaglia: la prima per la consistenza dei giacimenti di piombo, zinco, argento, sfruttati sin dai tempi della colonizzazione romana, la seconda per il ferro. Spingendosi, invece, nel Sarrabus Gerrei, a Villasalto si può apprezzare il nuovo splendore al quale è stata restituita la palazzina della direzione mineraria anche se non comparabile agli stupefacenti interni di quella di Montevecchio. A Sos Enattos, a Lula, c’era un’intensa attività estrattiva di piombo, zinco, argento e alcune gallerie della miniera risalgono al periodo romano, alcuni pozzi all’ undicesimo secolo. Cessata l’attività verso la fine del secolo scorso, oggi la miniera è un museo. Altrettanto efficace la conservazione della miniera di Funtana Raminosa a Gadoni, e di quella di rame, tra Barbagia e Sarcidano, che ha svolto un ruolo particolarmente significativo a partire dall’età neolitica perché già 1200 anni prima di Cristo si estraeva il rame per la produzione dei bronzetti.
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