Qualche giorno fa Paolo Fadda, uno dei nostri editorialisti più attenti alle dinamiche della Sardegna, ha scritto un eccellente articolo su Cagliari e il suo ruolo perduto di città-guida dell'Isola.

Con estrema lucidità, ed evitando le trappole della strumentalizzazione, Fadda ha lamentato l'eclissi di quella classe dirigente (politica, culturale, imprenditoriale) che in anni ormai lontani aveva contributo al risveglio di una città ancora ferita dalle macerie della guerra e poi allo sviluppo di un'intera regione che sognava un posto al sole nell'epoca del boom economico italiano.

Un'eclissi non dovuta, evidentemente, all'inadeguatezza di questa o quella Giunta in particolare, ma piuttosto all'incapacità di pensare e progettare il futuro a causa della tendenza, sempre più accentuata nei decenni successivi, di inseguire l'effimero, porre rimedio soltanto alle continue, piccole emergenze.

Un tema stimolante, da approfondire con un dibattito serio, al quale vorrei però aggiungere subito una riflessione, allargando il campo. Perché nei giorni in cui in Sardegna si fa più impellente la necessità morale di rilanciare la battaglia per l'insularità in Costituzione, occorre comprendere che tempi politici viviamo e con chi abbiamo a che fare quando, da sardi, andiamo a Roma a presentare le nostre istanze. Temo che il quadro sia piuttosto sconfortante. L'accelerazione degli eventi sembra ormai essere inversamente proporzionale alla qualità del contendere e alla quantità dei risultati raggiunti nell'interesse della collettività. Nel giro di un mese e mezzo siamo passati dall'autogol di Salvini e alla morte del governo gialloverde alla nascita di un altrettanto ibrido e fragile esecutivo giallorosso. Ciliegina sulla torta - si fa per dire - Matteo Renzi, uno dei fautori del nuovo governo, ha lasciato il Pd. Quel che emerge è la realtà di un Paese dove gli attori principali, animati da un ego ipertrofico, sembrano inseguire prevalentemente il potere per il potere. Quei poteri pieni che pretendeva il Matteo leghista, quelli che insegue ora l'altro Matteo con il suo nuovo soggetto politico. Entrambi legittimamente ambiziosi, per carità, ma dimentichi di aver già governato (il primo da vicepremier e ministro dell'Interno, il secondo da premier) con esiti a dir poco contraddittori.

L'orizzonte temporale della politica è sempre più schiacciato. L'obiettivo è immancabilmente la resa dei conti alle prossime elezioni, siano pure solo consultazioni regionali come le prossime in Umbria. Delle sorti del nuovo esecutivo, salutato pochi giorni fa con grande enfasi, nessuno pare più preoccuparsi. Anzi, si dà per scontato che avrà vita breve, esattamente come il precedente. Si passa da una chiamata alle urne all'altra senza soluzione di continuità. Progettare il futuro della nazione, pensare concretamente alle prossime generazioni, non è mai un tema in agenda.

Ecco perché, caro Fadda e cari lettori, se Atene piange Sparta non ride. Cagliari purtroppo è lo specchio di tante altre città d'un Paese, l'Italia, che ha perso la capacità di sognare.

Massimo Crivelli
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