L’esito delle elezioni sarà ufficialmente noto solo questa sera tardi ma il risultato che sembra delinearsi è quello di un nuovo sostanziale pareggio fra le due coalizioni, come già nello scorso aprile.

Secondo l’ultimo aggiornamento ufficiale delle 12.53 (ora israeliana) sono stati scrutinati circa 4.035.000 voti, ossia il 63,10%: il Likud del primo ministro uscente Netanyahu ha circa il 25,03% mentre il partito Blu e Bianco di Benny Gantz risulta avere il 25,7. Se questo risultato verrà confermato, come sembra dall’esito attuale dello spoglio nonché dagli exit pool fatti dalle varie reti televisive israeliane, si dovrebbe delineare una situazione in cui Blu e Bianco dovrebbe avere 32 seggi e il Likud uno in meno, 31. Il terzo partito, con 13 seggi, dovrebbe essere la cosiddetta Joint List, ossia una alleanza politica che unisce i principali partiti arabo-israeliani, seguito dallo Shas (ultraortodossi di origine vicino e medio-orientale) e da Yisrael Beiteinu (partito nazionalista di destra e anticlericale) entrambi con 9 seggi, United Torah Judaism (un’unione di partiti ultraortodossi di origine europea) con 8, Yamina (una unione di partiti di destra ed estrema destra) con 7, i laburisti con 6 seggi e infine 5 seggi alla Democratic Union (una alleanza politica di partiti di sinistra, movimenti e verdi).

Con questi risultati, il blocco di destra e religioso che potrebbe sostenere un nuovo governo di Netanyahu avrebbe 55 voti; un eventuale blocco composto da centristi, sinistra e partiti arabi ne avrebbe 56. Avigdor Liberman col suo partito Yisrael Beitenu e i suoi 9 seggi potrebbe a questo punto esser dunque determinante.

Vi è inoltre il precedente del 2009 quando Tzipi Livni col partito Kadima ottenne più seggi del Likud di Netanyahu ma poi non riuscì a concretizzare nella Knesset un sostegno sufficiente a creare un governo (cosa che invece fece il suo rivale).

Un seggio (Ansa)
Un seggio (Ansa)
Un seggio (Ansa)

Liberman qualche giorno fa aveva già anticipato che in caso di stallo post elettorale la sua proposta sarebbe stata un governo di unità insieme a Likud e Blu e Bianco; un governo di questo tipo non avrebbe al suo interno né religiosi ortodossi né rappresentati di sinistra o arabi.

Interessante anche la posizione di Ayman Odeh, leader della formazione che raggruppa i partiti arabi, che aveva aperto a una possibilità di sostegno a Gantz se questi si fosse concretamente impegnato al rinnovo del processo di pace e a maggiori interventi in ambito sociale e edilizio nei comuni arabo-israeliani. Ovviamente, se si dovesse realizzare un governo di unità nazionale, la Joint List ne sarebbe fuori ma Odeh potrebbe aspirare ad avere il ruolo di presidente dell'opposizione, un ruolo influente e importante e che gli consentirebbe di accedere alle riunioni di sicurezza (una prima volta per un leader arabo-israeliano).

Il primo grande problema del prossimo governo sarà affrontare il deficit economico, aggravato dalla assenza di un governo degli ultimi mesi. Come segnalato in precedenza, se da un alto l’economia cammina, lo stato ha comunque grossi problemi: il disavanzo ha raggiunto il record del 3,8% del PIL nell'ultimo anno, significativamente al di sopra dell'obiettivo del governo del 2,9%, disavanzo che sarà a fine anno almeno de 3,6%, per un totale di 14,1 miliardi di dollari. Come riporta il Jerusalem Post (quotidiano liberista non sospettabile di posizioni di sinistra) “…il governatore della Banca di Israele Amir Yaron ha avvertito il governo che la combinazione di aumento della spesa pubblica e riduzione simultanea delle tasse sta portando il deficit strutturale della nazione a un livello "indesiderabile" e potenzialmente pericoloso”. Altri problemi interni sono la necessità di una maggiore inclusione a livello scolastico e lavorativo di arabo-israeliano e ortodossi (che hanno entrambi un basso tasso di produttività) e un non più procrastinabile intervento sulle infrastrutture di trasporto del paese.

In ogni caso, la parola spetterà a Avigdor Liberman, che dopo aver spinto a nuove elezioni rifiutando accordi coi religiosi, sembra dunque nuovamente essere l’ago della bilancia della politica israeliana e che, in base alle sue scelte, indirizzerà la formazione di un nuovo governo (che comunque, malgrado l’ex presidente del Consiglio si stia riproponendo, difficilmente avrà Netanyahu come capo del Governo).

Filippo Petrucci
© Riproduzione riservata