Il 28 maggio 1974, alle 10.12, la deflagrazione di una bomba – nascosta in un cestito porta rifiuti - interrompe improvvisamente la manifestazione antifascista a Piazza della Loggia, a Brescia. Un boato enorme: urla, grida e subito dopo il silenzio.

Otto vittime e oltre cento i feriti. Alcune persone moriranno sul colpo, altre invece non riusciranno neppure ad arrivare in ospedale. Schegge, corpi, sangue e urla che si disperdevano sotto un cielo plumbeo. Una bomba che fa tremare l’intero Paese, che interrompe per sempre la voce di una piazza e il silenzio di chi si trovava dentro casa. Dopo i treni, le banche, le stazioni e i monumenti, gli stragisti avevano puntato alla voce del popolo libera e democratica.

Fa freddo quel giorno a Brescia, piove ma non c’è nessuna goccia dal cielo che fa più male delle lacrime che scivolano lungo i volti sofferenti dei sopravvissuti.

Quella strage, insieme a Piazza Fontana, Bologna e Italicus, è uno dei fatti più gravi avvenuti negli anni di piombo e, proprio come le precedenti, le piste avallate nel corso di questi lunghi e tortuosi anni sono state tante, troppe.

Molte le domande che si sono rincorse nella mente dei più attenti osservatori, come per esempio il motivo che ha spinto le autopompe a ripulire il luogo della strage, ancor prima che venissero effettuati i rilievi, e poi ancora silenzi, testimoni assenti e presunte piste che viravano verso altri orizzonti. Tante mezze verità che si sono rincorse per 43 anni, in attesa di una svolta giudiziaria che finalmente è arrivata. Dopo tre processi la condanna nel 2015 di Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi, sentenza che verrà poi confermata in Cassazione nel 2017. Maggi è considerato il mandante ed è morto il 26 dicembre del 2018. Tramonte, militante di Ordine Nuovo e informatore dei Servizi segreti, è stato estradato dal Portogallo e sta scontando la sua pena in Italia.

Angelo Barraco
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