Non è un caso che Emilio Lussu abbia ambientato qui, in questi anfratti selvaggi di natura inesplorata, nelle terre più segrete e povere della Sardegna, il suo mitologico racconto sul Cinghiale del Diavolo, bianco e irraggiungibile. Quel venticello venuto da sud che cancellava le tracce inconfondibili del passaggio di quella imprendibile furia era per i cacciatori di Armungia lo Spirito Maligno di Monte Cardiga. Un paradiso terrestre, sedotto e devastato, abbandonato alla malasorte del silenzio.

L'incontro misterioso

L'appuntamento al capolinea, poco prima della stradina che da Perdasdefogu ti immette in quei viottoli negati persino dal satellite, è con un signore che si dice militare, aeronautica per la precisione. I fari della sua Panda sono in posizione di riposo. Attendono un cenno, come d'intesa. Ti aspetti un uomo con lo sguardo forgiato nelle patrie caserme, e invece ti ritrovi un padre di famiglia. Canuto quanto basta per aver posato almeno un piede oltre la soglia dei sessanta. Pacato nei modi, sincero nello sguardo. Non ha molto tempo. Ha fretta di sgranare come un rosario la memoria della sua vita.

Non sono venuto solo, accenna. Con me ho portato un mio compagno di sventura. Sguardo rotante, nessuno si intravede. Precisa: è venuto con l'anima, con il pensiero. Mi ha detto di raccontare tutto e di consegnare tutti i documenti che abbiamo.

Il nodo in gola diventa scorsoio. I suoi occhi si fanno lucidi. Racconta: in realtà non sapevamo cosa ci facevano fare. Dirò tutto, dai nomi alle mansioni di ognuno. La nostra coscienza ci impone di parlare. Molti di noi sono stati interrogati. Abbiamo fornito dettagli, particolari, episodi di ogni giorno in quell'inferno. Ora abbiamo paura. Di quel processo (quello di Quirra) ci hanno detto che non se ne farà niente. Il dramma incede nelle sue poche sillabe. Ho il dovere di parlare. Chiedo solo di proteggere la mia identità, per la mia famiglia.

Tra natura e armi

Per raccontare certe storie, però, non bastano commozione e lacrime, come quelle che si affacciano sul proscenio di Monte Cardiga. Siamo in Sardegna, tra Escalaplano, Perdasdefogu e Villaputzu, cuore pulsante dell'industria delle armi e dei bombardamenti di Stato e della Nato. Non si arrende, il maresciallo in pensione. Ho le prove di quello che ci facevano fare. Domanda: bastano le fotografie delle esplosioni ciclopiche che si elevavano come bombe atomiche sopra le nostre teste e i vicini centri abitati? Silenzio. Incredulità. Racconti che appaiono surreali, suggestioni. Poi, però, la chiave di volta è nella prova documentale, quella che inchioda. Sprona l'interlocutore a credergli, si rivolge allo Spirito Maligno perché non spazzi via ancora una volta la verità. Abbiamo i fotogrammi di quello che ci facevano fare. I dispacci delle convocazioni. I percorsi, i pernottamenti nella locanda di Jerzu. Abbiamo tutto.

Avvolte nel cellophane ci sono le sequenze di quei giorni, dal 1990 al 2010, vissuti nel cuore dell'opera devastatrice di un territorio che soffre povertà e abbandono, in nome e per conto dell'interesse superiore, sempre quello degli altri. Per anni si era sentito parlare di questi fantomatici brillamenti, esercitazioni, come amavano definirle i vertici militari. Nessuno, però, le aveva mai immortalate da vicino. Tanto vicino da poterle impressionare in un negativo. E ora, invece, quei fotogrammi sono scolpiti nello sconcerto, dinanzi a quelle nubi cariche di ogni maledizione che per decenni si sono posate, peggio dello Spirito Maligno, sulle teste di bambini e adulti, pastori e militari.

Le prove del disastro

Sono le prove regina di quelle maledette esercitazioni-smaltimento che dovevano restare per sempre segrete e inviolabili dentro il filo spinato di Quirra, il Salto di Quirra, il poligono di Perdasdefogu. Una pagina buia nel libro nero del ministero della Difesa e delle servitù militari in Sardegna. E, invece, ora si affacciano dirompenti nel proscenio di una verità offesa, in una terra baciata dal Creato e divelta dall'uomo. Si aprono gli scrigni di Stato. I documenti che pubblichiamo sono la prova di come la Sardegna è stata violentata come se non ci fosse un domani. Le carte arrivano dai caveau della Base militare di Perdasdefogu.

Una Ritmo verdolina, con targa dell'aeronautica militare, fa da battistrada negli impervi cunicoli di Monte Cardiga, dove le poste di caccia grossa rendevano ardua ogni battuta al cinghiale. Seguono due campagnole, un camion gigante con a bordo due contenitori M409 per W/H. Tradotto, war head , testate di guerra. Seguono un camion gru e un Ducato con pochi uomini per l'operazione segreta. La missione è scritta in un dispaccio del comando della Prima Brigata aerea dell'aeronautica: verificare la fattibilità della distruzione, mediante esplosione, delle testate di guerra dei missili T45 Nike. I missili bomba dell'americana Hercules, quelli piazzati dalla Nato come scudo aereo in Occidente, capaci di colpire un bersaglio a 30 chilometri dal suolo, con una gittata di 140 chilometri. Gli americani ne hanno prodotto di due tipi, uno con la testata di guerra convenzionale e uno con quella nucleare. Nelle scoscese stradine si inerpicano due testate convenzionali: T- 45 HE da 502 chilogrammi, 270 chili di esplosivo a frammentazione HBX-6 M17.

Ordini di servizio

La missiva riporta confessioni sincere quanto disarmanti: «Il continuo accantonamento presso gli arsenali dell'aeronautica militare di materiale esplosivo relativo al sistema Nike sia perché scartato da modifica che inefficiente ha indotto a studiare una soluzione che ne permettesse la distruzione». Dove, se non in Sardegna? Il 4 marzo del 1994 - raccontano i documenti tenuti segreti - è il giorno prescelto per la prova. La colonna marciante sotto scorta armata, dopo un'ora e mezza di tormentato viaggio in strade malsane, raggiunge il luogo prescelto. Non servirà l'escavatore, che pure avevano portato al seguito. Si opta per la soluzione naturale : un canalone roccioso che il comandante in capo ha l'ardire di definire «già esistente e idoneo all'uso». Come se i canaloni di Monte Cardiga non fossero le vie di fuga dei cinghiali, ma invece luoghi "idonei" a micidiali esplosioni da guerra atlantica. La testata di guerra viene adagiata sul fondo del canalone. Un insieme di micce a lenta combustione, dieci chilogrammi di esplosivo Tnt e diversi detonatori faranno il resto. Dopo 13 minuti il boato. La fine del mondo. Un'esplosione devastante che si infrange con il sommovimento tellurico sulle pareti rocciose di quel pertugio in mezzo ai monti cari a Lussu.

Missione compiuta

Le conclusioni sono nero su bianco: «Il positivo svolgimento dell'operazione ha confermato la possibilità di distruggere con le stesse modalità e nello stesso luogo altre 41 testate di guerra dei missili Nike». Oltre 11mila chili di esplosivo. Una catastrofe ambientale senza precedenti, nascosta e fuorilegge. La discarica Sardegna è un ricettacolo universale, Quirra il luogo prescelto. Ogni arsenale d'Italia, Nato compresa, che deve smaltire bombe, missili, munizioni, nuove o vecchie, sa che le può spedire in Sardegna.

Da Vizzini, arsenale aereo, non si disdegna la cloaca esplosiva della Sardegna. Anzi, migliaia di tonnellate di ogni genere di esplosivi lasciano il suolo siculo, raggiungono Livorno, vengono imbarcate su navi dedicate, arrivano a Olbia e poi via dritte a Serrenti, arsenale predistruzione, prima dell'invio a Perdas per il giorno prescelto.

Un dispaccio archiviato con il lucchetto delle cose che non si devono sapere racconta un fatto agghiacciante. Cinquanta fusti di Napalm, il micidiale veleno usato dagli americani in Vietnam, devono essere smaltiti. Nelle intercettazioni telefoniche della procura di Lanusei si scoprirà che arriveranno in Sardegna. E poi l'ultimo sconvolgente fatto inedito. È il 18 giugno 1999. Zona torri, il punto più alto del poligono, dove prima si lanciavano missili e razzi. Le ruspe hanno scavato a fondo per l'ennesimo carico da smaltire. Buche di 40 metri di lunghezza e 20 di larghezza, una decina di profondità. E dentro, 120 cariche per Napalm. Come se niente fosse, insieme a 476.317 cartucce e 38 testate di guerra AIM-9B.

Lo stupro reiterato

Tutto questo per almeno trent'anni, sino ai giorni nostri. L'ultimo verbale venuto alla luce è del 1° febbraio 2008. Una montagna di bombe da distruggere nella zona Torri: 64 bombe LBR500, 7988 bombe a mano, 35 bombe MK82, quattro bombe MK 83.

Ora in quell'altopiano dove prima sorgeva il sole c'è il deserto. Non cresce più niente. Il lentischio ha ceduto i suoi spazi alla terra abrasa, ridotta a suolo lunare. Polvere e inquinamento. Letale, come quelle nubi cariche di nanoparticelle sospinte ovunque dal vento di Sardegna. E la colpa non è dello Spirito Maligno del Cinghiale del Diavolo.

Mauro Pili

(giornalista)
© Riproduzione riservata