Caro Direttore,

sul tema introdotto provocatoriamente dal Suo editoriale di domenica scorsa circa gli impatti clima-alteranti delle produzioni di carne e latte, il mio parere è che non salveremo il pianeta astenendoci dal consumare i prodotti dell'allevamento.

Se è vero che l'agricoltura impatta sul clima, è altrettanto vero che si può fare a meno di andare a comprare il giornale in auto (fermo restando che acquistare più quotidiani andandoci a piedi gioverebbe alla salute e alla cultura), mentre non si può non mangiare.

Confondere gli impatti per un'attività indispensabile con quelli per una facoltativa è il primo errore che si commette. Il secondo riguarda il metano. Quello emesso dalle fermentazioni enteriche (ma anche dalle risaie che tanto piacciono ai seguaci di Greta e dalle termiti e insetti xilofagi che da soli rappresentano l'11% delle emissioni totali di questo gas) proviene dal carbonio fissato nei vegetali dalla fotosintesi ed è ridotto nell'atmosfera a CO2 in tempi brevi, circa 10 anni; la CO2 dei combustibili fossili, invece, è immagazzinata nell'atmosfera con tempi di decadenza di 1000 anni: il perfetto riciclo contro l'accumulo.

C'è un ulteriore aspetto poco considerato: la zootecnia si pratica in territori vasti a prevalente carattere agro-silvo-pastorale per cui il bilancio deve essere compilato fra emissioni degli erbivori pascolanti e il sequestro di CO2 nelle piante e nel suolo da parte di questi ecosistemi. Se guardiamo alla Sardegna, le emissioni serrigene annuali del nostro allevamento sono stimate dall'ISPRA in circa 2 milioni di tonnellate di CO2, mentre i 693 mila ha di pascoli ne assorbono 757 mila tonnellate, i 230 mila ettari di foraggere 280 mila e il milione di ha di superfici silvane pascolate circa 4 milioni di tonnellate, per un totale di circa 5 milioni di tonnellate di CO2 sequestrate annualmente. Il bilancio positivo per la nostra Isola è pertanto di 3 milioni di tonnellate di CO2, pari a poco meno di due tonnellate per abitante (o 10.000 km in auto per ciascun Sardo).

Il comparto ovino sardo occupa un'area ampia ed è praticato con sistemi semi-intensivi e semi-estensivi che fanno largo ricorso ai foraggi locali (dal 60 al 80% di quanto ingerito dalle nostre pecore origina da pascoli naturali o da erbai, e il 10-15% da fieni raccolti in azienda), con elevato contributo alla biodiversità e al sequestro della CO2. Un'azienda media ovina della Sardegna presenta un bilancio del carbonio negativo, cioè sequestra più gas serra di quanto ne emette, pari a -0,75 kg di CO2 equivalente per litro di latte prodotto, per cui consumando 1 kg del nostro formaggio (per produrlo occorrono circa 6 litri di latte) si contribuisce alla rimozione dall'atmosfera di oltre 4 kg di CO2. Le filiere dalla produzione della carne bovina, il cui allevamento è praticato nelle superfici boscate, presentano un bilancio negativo ancora superiore, così come il latte e la carne prodotta dalle nostre capre pascolanti sui cespugliati. Conclusione: daremo una mano a salvare il mondo consumando i prodotti della zootecnia della Sardegna.

Giuseppe Pulina

(Università di Sassari)
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