Il virus non ha solo messo in pausa la maggior parte delle attività economiche sul pianeta. Alcune di queste potrebbero essere sconvolte o addirittura cancellate radicalmente. Molti si stanno chiedendo come e se Airbnb, colosso nato quasi per gioco nel 2008 e diventato fonte di reddito (a volte la principale) per migliaia di persone, riprenderà a macinare incassi. La domanda non è di poco conto: in Italia sono oltre 460mila gli alloggi destinati ad affitti brevi, mentre in Sardegna l'ultima stima di Federalberghi, ovvero il nemico giurato della società californiana, sono circa 32mila e garantiscono in media 2.600 euro all'anno ai proprietari di casa.

L'incertezza riguarda un po' tutta la sharing economy e qualche giorno fa il New York Times ha provato a fare chiarezza, con un articolo dedicato al braccio di ferro tra hotel e Airbnb, intitolato "Covid-19 has disrupt the disrupter? (in italiano potrebbe essere tradotto liberamente in "Il Covid-19 ha rottamato il rottamatore?", dove il rottamatore è ovviamente Airbnb, che ha sconvolto il mondo dell'hôtellerie). Per dare una risposta bisogna analizzare vari aspetti, che vanno dalle regole sulle cancellazioni alla pulizia, fino alla privacy e al distanziamento sociale. "Penso che gli hotel possano avere un vantaggio nel breve termine", ha affermato Henry Harteveldt, analista del settore alberghiero e fondatore di Atmosphere Research Group. Ma il sistema degli alloggi condivisi potrebbe rimodularsi e adattarsi alle nuove richieste del mercato.

L'ondata di cancellazioni causata dalla pandemia ha sbattuto in faccia ai viaggiatori la vasta gamma di norme da seguire per annullare una prenotazione. Mentre la maggior parte degli hotel offre politiche abbastanza generose, che consentono ai clienti di cambiare idea senza penalità fino a poche ore dall'arrivo, il settore degli affitti breve ha mille sfaccettature che dipendono dagli host: si va dalle cancellazioni dell'ultimo minuto senza penalità alla piena responsabilità (economica) dei turisti, anche con mesi di anticipo rispetto al viaggio.

Nella gestione dell'emergenza i vertici di Airbnb si sono dimostrati comprensivi e hanno garantito rimborsi ai clienti anche nei casi in cui non erano dovuti, ben sapendo che su questo punto si potrebbe giocare il futuro dell'azienda. Il portale ha poi garantito 250 milioni di dollari di aiuti per gli host, i proprietari di casa, che hanno visto i propri redditi sconvolti dal coronavirus. Ottima iniziativa, certo. Ma è ovvio che la pandemia lascerà comunque il segno. Ad esempio: in futuro chi sceglierà gli affitti brevi preferirà prenotare un'abitazione che assicura termini di cancellazione flessibili. Se invece parliamo di pulizia e distanziamento sociale, è difficile dire quali dei due modelli di turismo sia favorito al momento della ripartenza del settore. Perché è vero che gli alberghi sono più attrezzati per garantire un servizio di sanificazione più profondo delle stanze, ma ormai quasi tutte le case sul mercato sono gestite in modo semi-professionale e spesso a occuparsi di check- in e altri aspetti sono società specializzate. Per quanto riguarda le distanze, poi, potrebbe addirittura essere favorito il modello Airbnb: a volte gli ospiti non incontrano il proprietario, e non ci sono le zone condivise come hall o ristoranti. In generale, sostiene il New York Times, i nuovi concorrenti del mondo alberghiero potrebbero essere le case-hotel, strutture che garantiscono una gestione accurata e "standardizzata" dei clienti. Nel frattempo però si contano i danni, anche negli affitti brevi. La multinazionale ha già licenziato il 25 per cento dei suoi dipendenti, cioè 1.900 persone, a causa del lockdown planetario che ha bloccato i viaggi e i soggiorni per lavoro e per vacanza. E poi ci sono i mancati incassi dei proprietari di casa. Solo in Sardegna, il giro d'affari messo a rischio si aggira tra gli 80 e 100 milioni di euro annui.
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