Le parole hanno una storia, a volte antichissima e sorprendente. Arrivano da un altro tempo, spesso da culture lontane e magari all’inizio avevano un significato molto diverso da quello odierno. Per questo le parole, anche le più comuni, non possono essere usate a caso. Sono il nostro modo di pensare il mondo, il mezzo insostituibile per definire ciò che ci sta intorno e anche noi stessi. Sono regole al posto del caos e scoprire da dove vengono le parole, quali trasformazioni hanno subito, come si sono intrecciate tra loro non è esercizio sterile da esperti di linguistica o peggio da eruditi polverosi.

È un modo molto concreto per capire da dove veniamo, chi siamo oggi, dove vogliamo andare domani. Le parole, insomma, ci raccontano il nostro passato, ci spiegano il presente e ci aprono orizzonti più ampi per il futuro come ben si coglie nel coinvolgente Alla fonte delle parole (Mondadori, 2019, Euro 18,00, pp. 300. Anche Ebook), ultimo libro di Andrea Marcolongo, autrice capace di cavalcare la cresta dell’onda – i suoi libri sono tradotti in ventisette lingue – con i suoi lavori dedicati al greco antico e all’etimologia delle parole, argomenti a torto considerati solo per esperti. Proprio ad Andrea Marcolongo chiediamo perché è importante andare alla fonte delle parole: “Faccio una piccola premessa: ho scritto questo libro perché coglievo che molti di noi hanno difficoltà, problemi con alcune parole. Non tanto a comprenderle, perché per quello basta un dizionario, ma a scegliere tra le mille possibilità la parola giusta, quella che fa per noi in quel momento, in quell’occasione. E quando c’è un problema cosa bisogna fare? Andare alla radice. E andare alla radice, alla fonte di una parola significa compiere allora un viaggio a ritroso, ricomporre la sua etimologia per poterla riutilizzare con più consapevolezza.”

Conoscere le parole ci dà quindi una marcia in più?

“Ogni parola non nasce per rimanere chiusa in un dizionario. Non nasce a caso, ma è stata creata per noi, per poter esprimere e mettere per iscritto il nostro pensiero. E quando si conoscono poche parole il pensiero diventa limitato. Insomma, avere un linguaggio ricco e vario non è segno di erudizione: è un modo per esprimere più pensieri.”

Come mai oggi le persone paiono avere un vocabolario più limitato di un tempo?

“Secondo me la ragione principale è che si legge pochissimo. Personalmente ho cominciato ad amare l’italiano leggendo già da piccola e quindi ogni volta che leggo i dati su quante persone ogni anno non leggono neppure un libro non posso che essere preoccupata. La situazione appare veramente disastrosa in Italia.”

Quale libro consiglierebbe per imparare ad apprezzare le parole?

“Ora che ci penso Il nome della rosa di Umberto Eco, partirei da quel romanzo anche se ogni libro racconta la meraviglia delle parole, pure un semplice dizionario. Basta sfogliarlo e si scopre sempre qualcosa che non si sapeva. E ogni parola nuova è una possibilità in più che ci viene offerta.”

Ripercorrendo le 99 parole che compongono il suo libro, qualche scoperta l’ha fatta?

“Ne ho fatte tantissime di scoperte. A volte davo per scontata una etimologia e poi mi sono accorta che la realtà era tutta diversa. Per esempio, mi ha sorpreso scoprire che le parole ‘ansia’ e ‘angoscia’ derivano dal concetto di ‘schiacciare, comprimere’, che è esattamente quello che sentiamo nel petto quando siamo ansiosi o angosciati. Una scoperta meravigliosa è stato apprendere che ‘balena’ risale a una voce medievale lombarda, una terra dove certamente non era possibile avvistare un cetaceo. Eppure, la parola nasce lì perché non c’è bisogno di vedere una balena per nominarla: basta la forza del pensiero, dell’immaginazione.”

La nostra lingua si sta impoverendo a causa del massiccio utilizzo di vocaboli inglesi?

“La parola impoverimento non mi piace molto. Da linguista credo che la lingua italiana e gli italiani siano oggi poco fertili. L’italiano è una lingua viva e quindi ha bisogno di neologismi, cioè di nuove parole. La scarsa fertilità della nostra lingua e di noi italiani si vede dal fatto che ci limitiamo a prendere i neologismi da altri popoli.”

E una parola per questo inizio del 2020?

“Attesa. È una parola con una etimologia che mi incuriosisce. Sono una persona impulsiva e attendere apparentemente non fa per me perché evoca l’idea di aspettare, di fermarsi. Invece dal punto di vista etimologico ‘attesa’ significa ‘tendere verso qualcosa o qualcuno’. L’attesa è quindi un modo per predisporsi con apertura a quello che avverrà durante l’anno.”

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