Ci ritroviamo spesso a vivere in una quotidianità in cui chi si impegna, chi cerca di cambiare le cose deve fare i conti con quel muro di gomma che è diventata in molte occasioni la società italiana. Una società dove le realtà migliori della scuola e dell'impegno sociale, così come le famiglie, sono costrette a remare controcorrente, confrontandosi con la mancanza di risorse figlia della crisi economica, con l'arroganza del potere e con la derisione di chi pensa che cultura e sapere siano inutili fardelli se si vuole ottenere successo.

Susanna Tamaro con "Alzare lo sguardo" (Solferino Libri, 2019, pp. 128, anche e-book) non si limita però a descrivere quelle che sono vere e proprie storture in cui ci ritroviamo a vivere. Prova viceversa ad avviare una riflessione su quelle che possono essere considerate le grandi emergenze del nostro tempo: l'incapacità di essere comunità, di costruire un modello di convivenza capace di unire e non dividere, l'impossibilità di garantire a tutti il diritto di crescere in maniera armoniosa. Una riflessione che sfocia in un appassionato appello lanciato alla società, alle famiglie e, soprattutto, alla scuola perché si proponga di trasmettere un sapere in grado di offrire principalmente ai bambini e ai giovani gli strumenti per affrontare le sfide della vita. È necessario riscoprire il dovere di educare come ci conferma proprio Susanna Tamaro: "La scuola non deve solo istruire ma anche 'educare', cioè formare le persone ad una visione della vita in cui i valori fondamentali e i criteri di giudizio possano essere rispettati e condivisi da tutti".

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Non è quindi solo una questione di riscoprire la meritocrazia all’interno della scuola come a volte si sostiene?

"Non credo che sia la meritocrazia il punto debole; penso piuttosto che si debba immaginare un altro modo di insegnare. In un'epoca in cui ogni informazione è reperibile con un clic, il nozionismo ha perso un po' la sua necessità di esistere. Quello che davvero si dovrebbe insegnare ai ragazzi è piuttosto la complessità del ragionamento, la connessione tra i vari saperi, perché è qualcosa che, in questo momento di sviluppo storico, sta venendo a mancare. Bisogna usare l'arte maieutica, cioè insegnare partendo dalla capacità dei ragazzi di farsi domande, come faceva don Milani".

Non a caso nel libro a un certo punto lei pone la domanda: "Se si risvegliasse don Milani, cosa direbbe della scuola di oggi?" A suo parere, cosa direbbe?

"Penso che rimarrebbe molto turbato, perché si renderebbe presto conto che il sistema di istruzione di oggi è fortemente classista. Cioè penalizza i ragazzi che vengono da famiglie disagiate, che non hanno la possibilità di offrire ai figli gli strumenti di sostegno per permettere loro di progredire negli studi. Chi ha la possibilità manda i figli nelle scuole private, se non all'estero, tutti gli altri o hanno la fortuna di trovare insegnanti bravissimi – e ce ne sono tanti – o incappano in una risacca di indifferenza che li condanna a essere solo dei numeri. È una scuola che non aiuta i bravi e i meritevoli a raggiungere i loro obiettivi e il paradosso è che molto spesso gli stessi bravi, quelli che sarebbero in grado di appassionarsi, si autocensurano per il timore di non essere accettati dal resto della classe".

Lei parla dei danni della diseducazione letteraria a scuola. Perché questa diseducazione è tanto preoccupante?

"Perché allontana i ragazzi dalla passione di leggere e dalla curiosità che è insita nell’animo umano. Nelle scuole primarie i bambini leggono molto, nelle secondarie c’è già una lieve flessione e nelle superiori la lettura viene totalmente abbandonata. La scuola riesce a far detestare l'apertura di un libro, e la conferma di ciò viene dalle statistiche: come numero di lettori, siamo infatti gli ultimi in Europa, insieme alla Grecia. Non è un problema di adesso, è un problema che la scuola italiana ha sempre avuto: la letteratura come odiato argomento di studio e non come forma di conoscenza, di crescita interiore, di scoperta del mondo da coltivare nel corso della vita".

Nel libro lei sostiene che il mito inossidabile del liceo come scuola d'eccellenza è alla fine negativo. Perché?

"Perché il liceo – ora declinato nei vari licei – è una scuola che presuppone, per avere un senso, l'approdo all’università: non tutte le persone possono o vogliono intraprendere quella strada. La nostra cultura disprezza purtroppo tutto ciò che non è liceo e la situazione di Cenerentola degli istituti tecnici ne è la conferma. Sono considerate scuole di serie B e trattate come tali. Così ci troviamo nel paradosso di avere molti posti di lavoro professionali e artigianali scoperti per mancanza di persone preparate e una grande quantità di diplomati al liceo che non sanno più che strada prendere. Quando gli istituti tecnici saranno il fiore all'occhiello del nostro sistema educativo, avremo fatto un grande passo avanti".
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