"La scomparsa, come un’allergia, come una puntura di un velenoso insetto, può veramente colpire chiunque".

È un concetto estratto nella prefazione curata da Antonio Maria La Scala, avvocato e presidente di Penelope Italia, per il nuovo libro di Nicodemo Gentile, avvocato, dal titolo "Nella Terra del Niente - storie di scomparse, storie di famiglie" edito da Faust Edizioni.

Un libro che racconta il mondo attraverso gli occhi di chi piange il proprio congiunto assente da casa da tanti, troppi anni.

Foto sbiadite che scalfiscono il tempo e i ricordi, cristallizzate da sorrisi mai spenti e illuminati dai riflessi del sole che graffiano delicatamente il vetro avvolto da cornici in legno o ferro battuto, che molto spesso diventa l’unico appiglio per mantenere viva la speranza.

"Nelle stanze di chi resta il tempo scorre, ma l’orologio rimane là, fermo sull’ora dell’ultima parola, dell’ultimo sorriso, dell’ultimo ricordo; le ciabatte del marito che non c’è più rimangono al solito posto, guai a toccarle; il libro che il figlio leggeva prima di allontanarsi da casa resta lì sul comodino, fermo sull’ultima pagina che aveva segnato; le sigarette della mamma, lassù sulla mensola, dove le aveva lasciate prima di scomparire”, si legge in un passaggio del libro.

"È doloroso immaginare la vita di quelle famiglie che ogni giorno attendono notizie sulle sorti dei propri cari svaniti nel nulla, inghiottiti nel silenzio della notte, o sotto il sole del giorno. Quando la scomparsa irrompe in una famiglia, tutto diventa più complesso, la normalità viene lacerata e anche le cose più semplici diventano montagne da superare", scrive Nicodemo Gentile.

Quando uomini, donne, fanciulli e non, vengono strappati improvvisamente alla quotidianità per chissà quale recondito motivo, tutto diventa irreale, assurdo. La mente di chi aspetta è una fucina di domande senza risposte, impreziosita da ipotesi che alimentano la speranza. Un limbo di paura, domande, ipotesi e lacrime che dilaniano il cuore. Tutto diventa improvvisamente grigio, calano sul volto le maschere dei sorrisi che si tingono di dolore.

"È proprio vero che la scomparsa, spesso, non è solo un dramma familiare, intimo e privato, ma una tragedia collettiva", scrive Gentile. Ogni giorno è una continua ricerca: un persona che vive ai margini della società, un corpo in un fiume, in un lago o che riposa nelle gelide cassette di metallo in obitorio diventa una possibile risposta alle innumerevoli domande che si pongono i familiari in merito alle sorti del proprio congiunto.

Un dolore che lentamente corrode il corpo di chi aspetta da un momento all’altro il ritorno, l’abbraccio e un nuovo inizio. La speranza è sempre l’ultima a morire, si sa, sono infatti numerosi gli appelli che vengono lanciati tramite i mezzi di informazione e che viaggiano in parallelo con le ricerche degli inquirenti. Nicodemo Gentile ha scritto un libro che risulta complementare e propedeutico al precedente "Laggiù tra il Ferro – Storie di vita, storie di reclusi" edito nel 2017.

Si tratta di dieci storie di cronaca nazionale, alcune sfociate in processi per omicidio e occultamento, soppressione o distruzione di cadavere, altre invece ancora insolute. Guerrina Piscaglia, Roberta Ragusa. Irene Cristinzio, Pietro Sarchiè, e il desaparecido spagnolo Carlos. Sono queste alcune delle storie che hanno preso corpo e immagine attraverso le parole di chi per un attimo - come Nicodemo Gentile - ha voluto svestirsi della toga per poggiare una mano sulla spalla a chi non ha più lacrime da asciugare. Un libro impreziosito dai racconti inediti e personali dell'avvocato: ricordi di famiglia, nostalgici ricordi d’infanzia, dei suoi congiunti e la consapevolezza che la profondità di quell’empatia è un ramo che ha radici ben salde nel terreno.

Come nasce questo libro?

"Così come è successo con il primo libro, cerco di raccontare uno spaccato sia dell'uomo che del professionista. Spesso e volentieri in questi racconti c’è soprattutto l’uomo perché la nostra professione ci mette in contatto con le più diverse sciagure umane e non si può rimanere insensibili a questo tipo di vicende che uno tratta perché sono vicende lunghe, lunghissime, anche sotto il profilo temporale. Così come ho fatto con il libro 'Laggiù tra il Ferro – Storie di vita, storie di reclusi', dove ho cercato di raccontare attraverso la mia esperienza il tristissimo mondo della detenzione, con questa raccolta di racconti cerco invece di parlare di un altro spaccato doloroso dell’umanità che è quel mondo, spesso ignorato da molti, che è il mondo della scomparsa. Descrivo queste situazioni e attraverso questi racconti parlo della difficoltà di una professione in cui spesso e volentieri non ci sono risposte. Ci sono delle scomparse che rimangono punti interrogativi. Senza voler consegnare delle verità, io non ho verità in tasca, soltanto la mia esperienza di uomo, di professionista, ed estrarre da questa miniera, da questa caverna oscura questi spaccati di umanità. Non solo la vita di chi, in un giorno qualunque, fa perdere le sue tracce, ma anche e soprattutto la vita di chi rimane legato ad una speranza, ad un perché. I familiari delle persone scomparse che io ho definito i familiari in 'bilico'".

L'empatia è un concetto che emerge frequentemente durante la lettura. Cosa rappresenta per lei e che significato dà a questo termine?

"Io dico sempre a me stesso 'maledetta empatia' anche se invece la ritengo un dono perché è un valore aggiunto sicuramente come è un valore aggiunto in termini di stress, di ansie, perché tu respiri quelle dinamiche, quelle speranze, te ne fai carico, ci entri dentro, quindi la vittoria di quel percorso è anche la tua di vittoria così come il progetto che naufraga, la sconfitta, in quella vicenda, è anche una tua sconfitta. Credo sia inevitabile perché questo percorso particolarissimo che è quello di seguire una persona che in una giornata ordinaria fa perdere le sue tracce è un percorso unico, diverso da quello che è sicuramente il percorso classico dell'avvocato. Io che ho avuto l’onore e il privilegio di essere il primo dei legali di Penelope che ha creato addirittura la costituzione di Parte Civile nel processo Ragusa. L'Associazione Penelope mi ha dato l’onore e l’onere di essere il primo a costituirmi parte civile per l’Associazione. Sicuramente vivo tutti questi sentimenti contrastanti tra di loro. Io personalmente mi impongo più volte di essere freddo e lucido, di essere un professionista con il sangue freddo – come dico sempre io - 'di un vecchio chirurgo', però sinceramente l'empatia ritorna e in alcune di queste vicende che racconto sicuramente mi sono commosso insieme ai familiari, agli amici perché sono vicende veramente forti, fortissime. Non ci sono famiglie geneticamente predisposte, non ci sono professioni o mestieri immuni, non ci sono quartieri più a rischio di altri, non ci sono vaccini contro la scomparsa. Scompare chiunque: bambini, mamme, mogli, figli, fratelli. È scomparso Federico Caffè, è scomparso Ettore Maiorana e ancora ci chiediamo che fine hanno fatto. Scompaiono spesso insieme con le proprie macchine. Io ancora ho negli occhi lo sguardo smarrito di alcuni familiari; penso ad esempio a Daniele Taddei, abruzzese, ragazzo giovane scomparso addirittura con la macchina e da allora non è stata ritrovata né la macchina né lui. Ecco anche l'importanza di questo libro e il messaggio che si vuole veicolare: la scomparsa non deve essere vista come un dramma semplicemente privato della famiglia che viene colpita. Non è una malattia, appunto. Così come sta avvenendo nel caso della bambina di Brescia della comunità bengalese - Iushra - stiamo cercando di far diventare questa scomparsa una ferita dell’intera comunità, non solo il dramma del papà e della mamma che non hanno più la figlia perché appunto si tratta secondo me di un dramma che deve riguardare l’intera comunità. Penso ad esempio alla scomparsa di Maria Chindamo, quindi è evidente che il libro cerca di veicolare anche questo messaggio proprio perché nessuno si deve considerare, diciamo, in quella elite di persone a cui una sventura del genere non possa mai capitare".

Lei ha raccontato il mondo degli scomparsi attraverso gli occhi di chi piange il proprio caro, la speranza di chi aspetta che possa ritornare a casa, come nella vicenda di Carlos.

"Il caso di Carlos è emblematico e dimostra come nel mondo degli scomparsi la fiaccola della speranza mai deve essere spenta perché quando anche l’ultima goccia di speranza sembra ormai essere persa, può arrivare qualcosa o qualcuno che ti può dire cosa è successo in quella vicenda. Una dei drammi della scomparsa è la mancanza dell’elaborazione del lutto. I familiari, in bilico, vivono nella terra del niente, dove evidentemente non c’è né vita ma non c’è neanche morte perché non c’è un corpo, un resto cadaverico, un segno che ci dice che quella persona è morta. Anche se i familiari, razionalmente, sanno ormai che qualcosa di ineluttabile è avvenuto, comunque col cuore continuano a sperare. Li vedi svegliarsi di notte e partire, senza farsi nessuna domanda, magari per andare a verificare la segnalazione più strana, più bislacca, meno razionale e credibile. Il cuore comunque non si ferma. Ecco, questa è la terra del niente. Il grande paradosso del mondo degli scomparsi è proprio quello di sentirsi quasi felici, sottolineo questo 'quasi felici' perché felicità non c’è mai, ovviamente, ma quasi felici di poter chiudere il cerchio anche ottenendo la notizia più brutta che è quella di avere la certezza che quella persona che è scomparsa, per un periodo di tempo più o meno lungo, più o meno breve, è morta. Anche il ritrovamento di un corpo, di resti cadaverici, può essere comunque vissuta come un momento di chiusura perché significa chiusura del cerchio e possibilità di elaborare questo lutto che come un blocco gelato rimane nella testa e nel cuore e non va giù. Ti impone un dolore continuo, costante. Carlos, il cosiddetto eremita di Scarlino, è forse l’emblema della speranza, di chi non si deve mai arrendere. Un giovane che era quasi un genio, che partì un giorno dalla Spagna con la sua bicicletta nel 96, che ha fatto perdere le sue tracce nel 97. Da li nessuno ha sapeva dove fosse: i genitori ormai si erano rassegnati a non vederlo più, a pensarlo morto, tant’è che in Spagna fecero tutta la procedura per arrivare ad un provvedimento di morte presunta. All’improvviso, dopo ventuno anni, hanno riavuto in modo improvviso dei segnali di presenza di questo giovane che è tornato ad avere contatti con il mondo. Ho vissuto questa esperienza in diretta, non come avvocato perché nel caso di Carlos la toga non sono riuscito neanche a indossarla perché non c’è stato un procedimento penale, ma come membro volontario di questa nostra importante Associazione. Sono stato io che ho gestito questa vicenda. Andai a Fiumicino a incontrare questi familiari, li ho portati da Fiumicino a Follonica dove hanno incontrato questi volontari che avevano individuato Carlos nel cuore del bosco. È stata un’esperienza enorme: la mamma, il papà, l’emozione quando hanno visto le immagini che erano state scattate, la speranza di poter avere un dialogo con lui. La mamma iperconvinta e che per questo si è inoltrata in quel bosco impervio dovendosi fermare ad un certo punto perché sicura che se il figlio avesse sentito sicuramente si sarebbe fermato per parlare con la mamma. La delusione dei genitori stessi quando hanno ricevuto la notizia che Carlos era ripartito, lasciando quel posto. Questo è stato un momento soprattutto umano di grande qualità. Anche in questo caso, la cosiddetta empatia, in alcuni momenti ha giocato brutti scherzi perché quando guardavo la mamma che osservava le fotografie del figlio dopo ventuno anni mi ha scolpito l’anima. Questo è il mondo degli scomparsi".

In questo libro, come nel precedente, emerge un avvocato che riesce sempre a poggiare la toga sulla scrivania, mettendo da parte la formalità e il rigore delle aule dei tribunali per lasciare spazio all'abbraccio e alle parole di conforto di cui molti familiari di persone scomparse hanno bisogno.

"Io faccio il parallelismo, che in più occasioni ho visto, dell’orologio alla stazione di Bologna. Il tempo fermato. Anche nella case c’è un tempo che si ferma. Così come quell’orologio fermo alle 10.25 che è il momento dell’esplosione, nelle case degli scomparsi le stanze, gli ambienti di quelle abitazioni descrivono il tempo fermato. Ritrovi la tuta dove la lasciava sempre il papà la sera quando si spogliava prima di andare a letto, quel libro lasciato là che il figlio aveva toccato l’ultima volta prima di dire 'vado a comprare le sigarette', ritrovi le ciabatte sempre al solito posto, è un’assenza che è presenza. La cosiddetta mancanza ambigua, cioè una mancanza fisica che è presenza psicologica. Nelle case degli scomparsi tutto ricorda quell’assenza. Nel libro, oltre alle vicende di Roberta Ragusa, Guerrina Piscaglia, Pietro Sarchiè, Irene Cristinzio, che hanno avuto l’onore della cronaca nazionale, i mezzi d’informazione se ne sono occupati, alcuni dei quali come Pietro Sarchiè dopo venti giorni il corpo si è ritrovato, altri come la Cristinzio e la Ragusa ancora si ragiona su un corpo. Ci sono tutta una serie di storie che hanno avuto meno rilevanza sotto il profilo giornalistico, ma sono fortemente tragiche come quelle di Roberta".

Angelo Barraco
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