L a lavanda elettorale profuma sempre di buone promesse. E avvince fino alla contorsione. Non si spiegherebbero altrimenti certe resse appresso ai seggi, quando, al momento di porgere le ali al vento delle urne, il numero di fucilieri nascosti sorpassa quello dei consiglieri candidati e governare somiglia più che altro a una battuta di frodo.

Fare il sindaco non è una passeggiata. È dura, estenuante, infinita. Nemmeno, però, un espediente buono per l'orgoglio o un imbroglio per scalzare l'avversario. Non basta più una concessione edilizia qua e là e un ricevimento per gli anziani, e assolvere in tal fatta un compito, sia chiaro, per il quale ci si candida di propria sponte. Non è più tempo di Peppone e Don Camillo. Banale apologia, purtroppo nauseante. Non davanti alla situazione globale ogni giorno più travolgente che mescola le carte sottoponendo a prove di resistenza generale.

A chi il famigerato lockdown non ha creato disagi e privazioni suscitando rabbia e paura? Ne ho avuto - ahimé - esperienza (indiretta data la permanenza all'estero) nel mio Comune di provenienza, Sorgono, commissariato per mancanza di candidati a primo cittadino. Un triste destino. Inutile nascondersi. Anni di riferimento per le comunità montane, garantite dai servizi necessari conquistati con fatica e caparbietà, gettati al vento senza nemmeno passare per l'appello. Giù il cappello, in segno di lutto. (...)

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