V ino, letture, scommesse. Scrivo le mie perplessità. La grande assente dell'estate -avventurosa e parzialmente incauta per via di un Governo nemmeno velatamente ostile alla governance sarda- è stata la Cultura. A dire il vero, la Cultura latita da un bel pezzo nelle cronache isolane. Forse troppo. Eccessivamente, considerato il gradiente che le iniziative culturali suscitano muovendo un turismo notoriamente consapevole.

Ben prima che Mesina decidesse di tornarsene alla macchia e culminare una vicenda personale intrisa di mistero, la Cultura è stata la grande ricercata- mancata- dei caldi mesi appesi alle statistiche in rialzo del virus inarrestabile. Non mi si voglia se abbasso la soglia restringendo il campo delle attese. Ma la Cultura, a fronte delle grandi deficienze strutturali cui l'Isola deve pagare inusitato scotto come voto a qualche malaugurio, è mancata come sarebbe potuta mancare la spiaggia ai vacanzieri lasciati a piedi da qualche decreto regionale. Per quanto vieppiù rarefatta e millesimale la Cultura possa apparire entro un contesto economico dissestato, più interessato a colmare le voragini sociali che s'aprono come crepe nella roccia, quel poco di Cultura (la c maiuscola è un riconoscimento alla storia secolare di illustri epigoni) mancata alle cronache locali, ha causato un crollo vertiginoso di atmosfera e tornaconto economico.

Chiaro che per la Barbagia recito un esempio che mi cade geograficamente appresso al cuore mentre mi appresto a scegliere il libri per il viaggio di ritorno verso l'Inghilterra.

L 'assenza del festival a Gavoi, l'Isola delle Storie (nomen omen) ha lasciato i buoi senza solco, mogi, locati nella stalla, senza possibilità di adempiere al sacro compito della espressione artistica connaturata a territori bisognosi come il pane di contadini saggi e storie dense di umanità condivisa. È sopravvissuto alla buriana, per stoico affetto dei suoi giovani organizzatori (intelligentemente supportati) il piccolo festival Bookolica a Tempio Pausania. Una perla di musica, teatro, letteratura, incastonata in un territorio ove non per caso il mito De André aveva ricavato il suo sacro rifugio secolare.

Sia detto: senza Cultura, senza un ossequio (soprattutto economico) a tutte le realtà che a vario titolo si occupano di divulgazione culturale, teatro, rassegne, festival letterari, la Sardegna perde grandissima parte della forza motrice, cedendo all'indice delle occasioni perse, un capitale umano e professionale difficilmente reperibile altrove.

Libri, dicevo. E non è poco. Abituato all'abbondanza inglese, ove la lettura compete ancora con la crapula, in Sardegna ho patito l'assenza fisica dei libri nei luoghi nevralgici dei piccoli paesi, delle località turistiche, dei centri di interesse comune, talvolta ricorrendo a prestiti d'amici per colmare la mancanza di titoli da leggere. Quasi che fosse possibile scindere la conoscenza dei luoghi rinomati dallo strumento elettivo di apprendimento. Solo un momento mi ha indotto a ricuperare le speranze. E trovo sia un espediente vicinissimo alla Cultura, quasi parente. È stato quando, recandomi altrove sull'isola per impegni professionali e svago appassionato, ho avuto modo di consolarmi gustando vini eccellenti, frutto di menti finalmente addestrare all'enologia professionale impiegata per trarre grandi risultati da territori vocati ad altra economia. Mani educate alla cura dei vigneti, fino a dipingere autentici quadri sui crinali altrimenti destinati all'incuria.

Non mi si voglia - ancora- se azzardo accostamenti apparentemente audaci. Mi pare, però, che un buon vino susciti le buone compagnie e di lì a breve ne nascano saggi argomenti che abbiano come interesse condiviso i modi attraverso cui cercare di risollevare le sorti di una terra mesta e perennemente in credito col mondo. Scusate se mi pare abbastanza per coltivare vigneti e speranze.

Solo un piccolo dato, per spiegare l'andamento nel contesto globale in relazione al nostro potenziale inusitato. Fra i ristoranti più rinomati della Capitale inglese uno è proprietà di un sardo, l'altro è da un sardo diretto, a dimostrare che l'eccellenza ci appartiene almeno quanto ci apparterrebbero i titoli se avessimo sapienza di investire con profitto.

A questo punto, le “macchinette”. Ne scrivo così, fra virgolette, per indicare quelle diavolerie nascoste alla vista ove ancora troppa gente dilapida il poco denaro nelle tasche. Se dovesse esserci una legge più stringente delle altre, promulgata a tutta forza, dovrebbe riguardare le modalità di ingaggio. Il disagio è uno di quei mali che miete più l'inerzia contro cui occorrerebbero prese di posizione nette e intransigenti. Nei momenti di trasbordo ho guardato affascinato il paesaggio della nostra terra. Molto è stato scritto. Molto altro è ancora da scrivere. La Sardegna è una terra di penne, menti, mani meravigliose che si distinguono a più riprese in tutti gli scenari possibili. Brindiamo ai risultati futuri. Come ebbe a scrivere Mark Twain: “I miei libri sono come l'acqua, quelli dei grandi talenti sono vino”.

ANDREA MEREU

OPERATORE CULTURALE A LONDRA
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