I l Sì vince largamente nel referendum, come era prevedibile, centrodestra e centrosinistra chiudono con un salomonico pareggio (3 a 3) la sfida delle regionali, nelle suppletive a Sassari Carlo Doria conquista il seggio senatoriale reso vacante dalla scomparsa di Vittoria Bogo Deledda. Questo in estrema sintesi il risultato della tornata elettorale alla quale gli italiani sono stati chiamati in un momento assai delicato per la complicata e concomitante riapertura delle scuole e i timori che una seconda ondata del virus possa mettere ulteriormente in ginocchio la nostra traballante economia.

L'effetto più evidente è che se mai qualcuno aveva ipotizzato una spallata al governo giallorosso se la può scordare. Al netto di qualche mal di pancia e resa dei conti interna ai partiti, questo voto rafforza senza dubbio la stabilità dell'esecutivo che, salvo eventi imprevedibili, finirà la legislatura.

Il successo del Sì (quasi il 70 per cento) merita un'analisi più approfondita. In un referendum senza quorum sarebbe servito più cuore ai sostenitori del No per sovvertire il pronostico. Ma una volta innescato dai Cinque Stelle il meccanismo populista, i partiti maggiori si sono accodati un po' controvoglia al carro vincente e i distinguo di qualche personaggio, anche illustre, non potevano certo bastare a mutare l'umore di un elettorato che ormai da molti anni è abituato a pensare alla politica come la causa di tutti i nostri mali.

T roppo allettante l'occasione di tagliare 345 scanni parlamentari con un quesito semplicistico in un Paese dove “La casta”, il libro cult di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, a 13 anni dalla sua prima edizione, continua a vendere migliaia e migliaia di copie. E poco importa se in verità i risparmi saranno abbastanza contenuti, se la sforbiciata avverrà un po' a casaccio, se ci sarà la necessità di una nuova legge elettorale, se resta inalterato il farraginoso meccanismo bicamerale, se una regione come la Sardegna perderà una decina di rappresentanti, se - soprattutto - questa riforma prosciugherà ancora di più la democrazia a favore della tecnocrazia dell'esecutivo, delle segreterie dei partiti, dei poteri forti. Queste ragioni avrebbero dovuto essere spiegate e sostenute con convinzione, ma non lo si è fatto.

Come sempre avviene in Italia oggi sono tutti vincitori. Di Maio esulta e parla - non senza ragione, dal suo punto di vista - di «risultato storico che non si sarebbe mai potuto conseguire senza i Cinque Stelle». Il Pd sbandiera la tenuta del feudo rosso in Toscana e la rinconferma dello sceriffo De Luca in Campania, Zingaretti proclama la «centralità» del suo partito e punge - ma non troppo - gli alleati grillini («se ci avessero dato retta avremmo vinto dovunque»). Il centrodestra celebra il trionfo del Doge Zaia in Veneto, la tenuta di Toti in Liguria, la conquista delle Marche dopo cinquant'anni di dominio del centrosinistra. Ognuno ha i suoi motivi per proclamarsi soddisfatto. «Siamo in un Paese meraviglioso», come recita lo spot di Autostrade (sì, quelle che noi sardi non abbiamo) e può quindi accadere che la classe politica esulti per una sorta di suicidio collettivo. Mai visto i tacchini festeggiare l'approssimarsi del cenone di Natale, ora possiamo dire d'aver colmato la lacuna.

Questo voto - come ha già scritto con la consueta crudezza ed efficacia Mario Sechi - non avrà alcun un effetto sulle nostre vite. Da oggi torneremo ad occuparci dei problemi veri, delle angosce che l'autunno alle porte si trascina con sè. Per dirne una: oggi riaprono le scuole in Sardegna, come funzioneranno nessuno lo sa. Di ciò - e non di altro - dovremmo davvero preoccuparci.

MASSIMO CRIVELLI
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