L a politica italiana è sempre molto originale. Sono più di trent'anni che ciclicamente le forze politiche più sensibili al richiamo dell'antiparlamentarismo e dell'antipolitica invocano il taglio del numero dei parlamentari. Si tratta di un riflesso quasi viscerale del sistema politico nostrano che storicamente, quando avverte un sentore di crisi e di delegittimazione, si rifugia nella collaudata narrazione che trova la sua sintesi nella riduzione dei costi della politica, tralasciando la riduzione delle prebende. Sarebbe sufficiente ricordare due figure come Craxi e Berlusconi, più volte critici nei confronti della pletorica presenza di parlamentari che pesano sull'erario pubblico, per ritrovare alcuni di quegli argomenti che in maniera forse meno sofisticata hanno portato il Movimento grillino a condurre questa battaglia fin dalla propria nascita.

Dopo essere stata approvata quasi all'unanimità da entrambi i rami del parlamento, la proposta di ridurre di un terzo la rappresentanza parlamentare viene ora sottoposta all'insindacabile giudizio dell'elettorato con un referendum. Nessuno schieramento si è infatti espresso contro il “taglio” di deputati e senatori. Una posizione, questa, che desta più di un sospetto e svela tutta la sua ipocrisia nell'approssimarsi di un voto che difficilmente lascerà immutato il numero dei seggi.

Dire no adesso è quasi patetico. L'ex direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli, ha fatto un'interessante osservazione.

M ieli ha sottolineato come il “no”, ovvero l'opzione di coloro che si opporranno alla riduzione della rappresentanza soccomberà perché raccoglie la posizione delle élite, mentre il “sì” catalizza l'attenzione della moltitudine che sfoga il proprio risentimento contro un nemico invisibile: la casta, la politica, le istituzioni. Si tratta di un'osservazione ragionevole, ma autolesionistica, perché finisce per essere adottata da deputati e senatori, stranamente di lungo corso, e da alcuni esponenti di partito che temono brusche ripercussioni al loro interno, dovendo prospettare ai loro colleghi (o a loro stessi) le crescenti difficoltà a cui andranno incontro per sperare di tornare in Parlamento.

Troppo tardi. La battaglia sul taglio dei parlamentari da parte dei sostenitori del “no” verrà persa proprio a causa della scarsa credibilità e qualità di molti deputati e senatori eletti in questi anni alle Camere, e il loro tardivo o grossolano ripensamento porta solo ulteriore linfa al “sì”. Evidentemente la difesa di un'istituzione come il Parlamento non era così prioritaria quando si doveva sfidare l'impopolarità, viceversa diventa fondamentale di fronte alla concreta possibilità di essere tagliati fuori dalle nuove assemblee più ristrette. Da questo punto di vista pochi schieramenti fanno eccezione. Persino fra i partiti del centrodestra, tradizionalmente inclini a ridimensionare numerosità e prerogative del potere legislativo, troviamo illustri difensori dell'ampiezza di Montecitorio e Palazzo Madama. La stessa inquietudine pervade un centrosinistra ben conscio di aver approvato una riforma del tutto contraria alla propria cultura della rappresentanza. D'altronde, la proiezione relativa all'assottigliamento del numero dei seggi penalizzerà tutti i gruppi parlamentari a iniziare proprio con lo schieramento promotore dei Cinque Stelle e con la sola eccezione di Fratelli d'Italia.

Si tratti di calcoli strategici o di reali lacerazioni interiori, che siamo disposti a riconoscere ai soli eredi del radicalismo pannelliano, questo dibattito probabilmente raggiunge almeno un risultato: sebbene la vittoria del “sì” venga esorcizzata senza alcuna reale possibilità di ribaltare un esito scontato, si è diffusa infatti la consapevolezza di quanto l'antipolitica e l'antiparlamentarismo possano essere derive insaziabili. Persino chi ha promosso il taglio dei parlamentari è cosciente che questa riduzione sia destinata a rappresentare un unicum e non sia una risorsa complementare all'incapacità di non saper selezionare una migliore classe politica. Di conseguenza, dopo il taglio dei rappresentanti, ogni schieramento sarà chiamato a innalzare la qualità dei propri candidati, se non vorrà incorrere in nuove e più dolorose derive populiste.

MARCO PIGNOTTI

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
© Riproduzione riservata