A lla recente kermesse del Governo sugli Stati generali dell'economia, la Confindustria, con un preoccupato intervento del suo presidente, Carlo Bonomi, ha indicato le priorità che secondo l'Associazione degli industriali devono guidare il governo per la ripresa dello sviluppo economico del Paese.

Nell'immediato, il presidente ha chiesto il pagamento di 50 miliardi di debiti arretrati della Pubblica amministrazione. Poi ha attaccato sulla cassa integrazione, sostenendo che è stata anticipata in vasta misura dalle imprese e ha lamentato gravi ritardi anche per le procedure di sostegno della liquidità. Infine, ha indicato «le tre priorità più essenziali, direi “trasversali” alle misure da varare. La prima è la produttività: la grande assente da 25 anni nel dibattito pubblico italiano». La seconda è quella della misurazione di qualità ed efficacia della spesa pubblica, mentre la terza è costituita da «una cornice credibile pluriennale di sostenibilità della finanza pubblica italiana e di riduzione del debito pubblico». Le tre indicazioni di Confindustria colgono nel segno, perciò torna utile soffermarsi brevemente su ciascuna di esse.

Se l'Italia oggi è nei guai, la colpa non è solo del gigantesco debito pubblico. L'altro grande problema è costituito infatti dalla bassa produttività, cioè dalla scarsa capacità di crescere. Secondo l'Ocse, tra il 1995 e il 2019 l'aumento della produttività del lavoro, misurata dall'aumento annuo del Pil per ora lavorata, è stato dello 0,3%.

È il più basso tra le 40 economie più sviluppate, a fronte di un aumento medio annuo nei paesi Ocse dell'1,47%. Nel dettaglio, l'Italia è passata dal +1% di incremento annuo tra il 1995-2000 allo 0,1% del quinquennio successivo, per registrare poi una flessione dello 0,2% tra il 2005 e il 2010, seguita da un +0,3% annuo negli anni più recenti.

Il declino della produttività del lavoro si lega a molti fattori. Il primo è costituito dal fatto che nel nostro Paese è sempre più difficile fare impresa. Rispetto all'anno scorso, l'Italia ha perso cinque posizioni nella classifica mondiale del rapporto “Doing Business”, redatto dalla Banca Mondiale, scendendo dal 46° al 51° posto in classifica. Tutti i principali Stati dell'Unione europea ci precedono. Ma sotto la voce “difficoltà di fare impresa” vanno aggiunte anche altre peculiarità italiane, come ad esempio la frammentazione del tessuto produttivo con un'eccessiva presenza di piccole e medie imprese, incapaci di investire in innovazione nell'era della globalizzazione. Inoltre, pesa l'orientamento della specializzazione verso produzioni tradizionali a basso contenuto tecnologico, la proprietà familiare spesso ostacolo a innovazione e competitività, nonché la presenza di familismo, clientelismo, corruzione e inefficienza del sistema giudiziario e del settore pubblico.

Sulla misurazione di qualità ed efficacia della spesa pubblica, infine, sarebbe opportuno che il governo vi prestasse maggiore attenzione, per evitare di continuare a sprecare soldi in spese clientelari e improduttive e come premessa di una riqualificazione della spesa; mentre sulla cornice pluriennale di sostenibilità della finanza pubblica e di riduzione del debito pubblico, un commento finale è doveroso. Con i recenti provvedimenti di lotta al Covid-19 e la conseguente perdita di Pil dovuta alla pandemia, il rapporto debito/Pil a partire da quest'anno farà un balzo dell'ordine dei 20 punti, che dovranno essere recuperati almeno in parte negli anni futuri. L'Europa, con gli acquisti di Btp innanzitutto e poi col Recovery Plan in corso di approvazione al Consiglio di luglio dei capi di Stato e di governo, ci sta dando una mano importane e risolutiva, ma il piano di stabilizzazione e, almeno in parte, di rientro dal debito spetta al nostro governo, proprio, come suggerisce Bonomi, adottando una credibile cornice pluriennale di sostenibilità della finanza pubblica. Dopo gli Stati generali, questi problemi non possono più essere elusi, né lasciano spazio a ipotesi di riduzione dell'Iva come auspicato da Conte.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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