C ircolano alcune teorie a proposito del Recovery Plan europeo che passano per sovraniste. La prima sostiene che la liquidità messa in campo dal governo coi fondi propri e con quelli europei è solo teorica, perché all'atto pratico viene imbrigliata nel mare della burocrazia prima che arrivi alle imprese e alle famiglie. La seconda che il grosso delle risorse arriva attraverso prestiti e non donazioni a fondo perduto, e i prestiti bisogna restituirli. La terza che con prestiti una tantum non si possono finanziare riforme strutturali, che implicano spese che si ripetono nel tempo: con un prestito, si sostiene, non si può finanziare nessun piano di riforma fiscale, della sanità o della PA, come ad esempio un taglio stabile delle tasse. La quarta, infine, sostiene che bisognerebbe recuperare la sovranità monetaria nazionale per poter inondare il mercato di una grande quantità di moneta, necessaria per uscire dalla grave recessione economica in atto.

Sulla prima, è lo stesso presidente del consiglio a riconosce l'esistenza del problema: abbiamo «una burocrazia asfissiante che da decenni continua a essere un freno per la competitività del nostro sistema produttivo».

B urocrazia «che in questa fase di emergenza ci impedisce di andare più veloci», e che, aggiunge ancora il presidente del Consiglio, «ancora oggi compromette l'efficienza della Pubblica Amministrazione e costituisce un freno alla crescita economica e sociale del Paese».

Nel merito, avverte Banca d'Italia, esistono troppe lentezze sui prestiti alle imprese, in particolare per quelli garantiti dallo Stato oltre i 25 mila euro, e invita gli istituti bancari ad «attivarsi rapidamente per rimuovere eventuali cause di ritardo imputabili a loro carenze».

Come ha spiegato il capo della Vigilanza, Paolo Angelini, «anche le banche saranno colpite dalla crisi»: alcune «simulazioni non sono rassicuranti» a causa di un Pil che crollerà quest'anno del 9%. Tutto vero, ma queste critiche sono rivolte alla nostra burocrazia e nulla hanno a che fare con la burocrazia di Bruxelles.

La seconda argomentazione è vera, facendo notare tuttavia che i fondi che l'Ue propone di dare all'Italia a fondo perduto nell'ambito del Recovery Plan ammontano a 82 miliardi, più altri 91 sotto forma di prestiti a tassi irrisori, ben al di sotto di quelli pagati sui Btp, oltre naturalmente ai fondi Mes, della Bei e del piano Sure. Certo tutto gratis sarebbe stato meglio, ma non realistico.

Anche la terza osservazione è vera; tuttavia, i soldi europei vengono dati solo per investimenti, non per finanziare spese correnti come gli stipendi degli statali, né tanto meno per finanziare la riduzione delle tasse.

Infine, la quarta argomentazione sulla creazione di moneta come fonte di finanziamento della spesa pubblica merita un'osservazione più tecnica.

Da che mondo è mondo, tutti gli Stati sovrani hanno sempre utilizzato la stampa di nuova moneta come fonte alternativa all'emissione di titoli pubblici per il finanziamento della spesa in deficit spending. Nel fare questo c'è però un limite: se la massa monetaria cresce in misura più che proporzione alla crescita del reddito (Pil), come ad esempio si verificò negli anni '80 del secolo scorso in Italia, allora sono guai, perché i mercati in tal caso attaccano la valuta del Paese in questione, che perde valore e il governo non riesce più a finanziarsi sui mercati vendendo titoli pubblici, se non al costo di tassi crescenti e insostenibili, tali da prefigurare un default imminente.

Questo può essere evitato, come in Italia nel 1992, solo con una maximanovra finanziaria che includa una corposa imposta patrimoniale.

Per evitare il ripetersi di quell'esperienza, l'Italia ha aderito all'Unione monetaria, rinunciando alla sua sovranità monetaria. Perciò oggi a monetizzare il debito italiano ci pensa la Bce, senza che questo crei panico nei mercati.

Il ritorno al sovranismo monetario nazionale riporterebbe la situazione al 1992. I sovranisti lo negano, ma in tal caso una evoluzione in stile argentino non sarebbe da escludere per il nostro Paese. A chi gioverebbe tutto ciò?

BENIAMINO MORO

DOCENTE DI ECONOMIA POLITICA

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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