I n questa Fase 2 di meccanismi farraginosi e contorni ancora nebulosi ci mancava solo la polemica tra il sindaco di Milano e il presidente della nostra Regione a rendere più complicata - e inutilmente avvelenata - la situazione. Nel momento in cui si tenta, faticosamente, di rimettere in marcia il Paese è davvero avvilente assistere a scambi di accuse nei quali torti e ragione finiscono per confondersi e che a tutto servono tranne che a dare certezze ai cittadini, già stremati da due mesi di pesante isolamento.

Da una parte della barricata c'è Giuseppe Sala, sindaco Pd di Milano. Si lamenta perché ai lombardi viene chiesta una sorta di patente d'immunità sanitaria per raggiungere l'Isola. Rappresenta la metropoli che per decenni ha accolto (e continua ad accogliere) migliaia di sardi e, in questo senso, fa bene a protestare e denunciare rigurgiti di strisciante razzismo alla rovescia. Ma sbaglia i toni, perché il primo cittadino della capitale morale d'Italia non può abbandonarsi a frasi vagamente minacciose del tipo «me ne ricorderò». Espressioni sopra le righe, perfette per scatenare la suscettibilità di noi sardi che, colti da istinto pavloviano, replichiamo senza riflettere.

E infatti a Christian Solinas, presidente sardista in quota Lega, non è parso vero di ribattere a muso duro che «Sala in materia di coronavirus dovrebbe usare la decenza del silenzio, dopo i suoi famigerati aperitivi pubblici in piena epidemia». Aggiungendo poi che «nessuno ha chiesto improbabili patenti di immunità, ma un semplice certificato di negatività». Se si sottolinea l'appartenenza politica dei due contendenti è perché vige il forte sospetto che alla base del malcelato rancore fra i due ci sia anche questo elemento. Un particolare che francamente poco interessa alla stragrande maggioranza di italiani, sardi e lombardi che siano, e che vorrebbero soltanto sapere come debbono organizzare le loro vite. Ed è proprio qui che le affermazioni di Solinas suonano particolarmente stridenti. Il passaporto sanitario non è un'invenzione giornalistica ma una necessità pretesa dal governatore fino all'altro giorno. Oggi parla di certificato di negatività ma non spiega chi debba rilasciarlo, se serva solo per i turisti o anche per gli emigrati di ritorno, se occorra presentarlo in partenza o all'arrivo.

La confusione regna sovrana sebbene la stagione turistica alla quale (sembra perfino pleonastico ricordarlo) sono legate forti percentuali del nostro Pil, sia alle porte. È l'ora di capire, una volta per tutte, che con questo virus dobbiamo imparare a convivere e non ha senso dividersi fra chi, magari garantito dallo stipendio o una bella pensione, invoca le porte chiuse agli “untori” e chi minimizza con troppa faciloneria la portata del problema. Occorre ritrovare in fretta la bussola del buon senso e stabilire regole chiare e definitive. Il passaporto sanitario è improponibile e persino incostituzionale, lo ha ricordato giustamente anche il ministro Boccia. L'unica via appare quella dell'autocertificazione, magari accompagnata da test in porti e aeroporti, dove si riuscirà ad organizzarli. Gli italiani hanno dimostrato in questo periodo di grave emergenza d'essere più maturi e responsabili di chi li governa. Continuare a fare gli sceriffi e a trattarli da bambini un po' scemi è francamente offensivo. La Sardegna si è sempre distinta per ospitalità e spirito di solidarietà. Apra le porte a chi vuole continuare ad amarla, non scacci i turisti, spingendoli verso altre destinazioni. Sala e Solinas depongano le armi, dialoghino nel dovuto, reciproco rispetto. E tengano presente le esigenze di tutti: gli emigrati che vogliono tornare a casa, i lombardi che sognano di venire in Sardegna, quelli che non hanno più un euro per fare le vacanze e aspettano però di riprendere a lavorare per portare un po' di pane a casa.

MASSIMO CRIVELLI
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