T ra gli effetti imprevisti del Covid-19 c'è anche l'avere spazzato via dalla rete i commenti antiscientifici dei no-vax: nessuno più oggi osa sostenere che i vaccini non siano utili all'umanità. Più sottile risulta essere invece il rapporto tra gli anti-vax e gli anti-euro, che sono persone ideologicamente orientate contro l'euro e l'Unione monetaria europea (Ume) non di meno di quanto i no-vax lo siano contro i vaccini.

L 'atteggiamento dei no-euro è ugualmente antiscientifico e più politico-ideologico, ma non meno pericoloso per la salute dell'economia. Che fare prima che la pandemia economica possa prendere il sopravvento come la pandemia sanitaria? Non resta che ragionare e far ragionare anche gli economisti scettici sullo scenario che si sta giocando oggi in Europa. Alcuni di questi sono consiglieri del principe, ovvero dei partiti sovranisti al potere in Europa o che aspirano a diventarlo. In Germania, ad esempio, sono un gruppo di autorevoli economisti che, d'intesa col partito sovranista Alternative für Deutschland (AfD), stanno facendo di tutto per impedire alla Bce di fare la banca centrale nell'interesse della stabilità e della prosperità dei Paesi dell'Ume. Il loro ricorso alla Corte Costituzionale tedesca per qualche giorno ha messo in imbarazzo le istituzioni Ue, in particolare la Bce.

Tuttavia, è intervenuta tempestivamente la Corte di Giustizia Europea per ribadire che la legittimità degli atti delle istituzioni europee è materia di sua competenza esclusiva, non delle Corti costituzionali dei singoli Paesi membri. Se così non fosse, ne andrebbe compromessa l'intera architettura dell'Ue, perché «eventuali divergenze tra i giudici degli Stati membri in merito alla validità di atti del genere potrebbero compromettere infatti l'unità dell'ordinamento giuridico dell'Unione e pregiudicare la certezza del diritto». Aggiungendo che «al pari di altre autorità degli Stati membri, i giudici nazionali sono obbligati a garantire la piena efficacia del diritto dell'Unione».

La lezione è servita da monito anche ai nostri partiti sovranisti (Lega e Fratelli d'Italia), che sul rapporto con l'Europa hanno quanto meno una posizione ambigua: proclamano di non essere antieuropeisti, ma i loro economisti, dichiaratamente anti-euro, presiedono le commissioni economiche in Parlamento, sia alla Camera che al Senato. Come ha notato Antonio Polito sul Corriere della Sera, «la reazione dei sovranisti italiani ha finito con l'essere pressoché identica a quella degli europeisti e federalisti più convinti: l'interesse nazionale italiano richiede infatti di difendere dal sovranismo degli altri l'indipendenza della Bce e la superiorità del diritto comunitario».

Qual è tuttavia il costo di questa ambiguità? Presto detto, esso è misurato dal differenziale dello spread italiano rispetto a quello spagnolo. Durante la crisi finanziaria dei debiti sovrani i due spread sono sempre rimasti appaiati: segno di analoga rischiosità dei due rispettivi debiti pubblici. Oggi invece il differenziale tra i due si aggira intorno ai 110 punti base, che misura appunto il costo dell'ambiguità italiana, cioè il maggiore premio per il rischio che i mercati attribuiscono all'incertezza italiana sull'appartenenza definitiva all'Ume.

Un'altra contraddizione è che i sovranisti italiani non manifestano apprezzamento sul fatto che la Bce abbia già monetizzato il 22% del nostro debito pubblico senza creare eccessivo panico nei mercati, perché stiamo parlando di euro, moneta forte, e non di lire; credono forse che uscendo dall'euro e tornando alla lira si potrebbe tornare al passato, quando si poteva finanziare con nuova moneta sino al 14% della spesa pubblica annuale.

Tuttavia, cosa succederebbe se si tornasse alla lira? Fuori dall'ombrello protettivo della Bce, lo spread schizzerebbe su livelli incontrollabili, determinando presto l'insostenibilità del nostro debito pubblico. Vale la pena di rischiare?

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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