L a recente crisi finanziaria europea è iniziata nel 2010 in Grecia come crisi del debito pubblico di uno Stato sovrano, ma ha subito coinvolto l'intero sistema bancario europeo. La caratteristica saliente della crisi, infatti, è stata che l'insolvenza di uno Stato si trasforma velocemente in crisi del suo sistema bancario, perché le banche hanno in portafoglio quantità enormi di titoli pubblici, che con la crisi perdono di valore.

La ripercussione è reciproca, perché il sistema bancario, entrato in crisi inizialmente in Grecia, Spagna e Irlanda, ha richiesto a sua volta interventi di salvataggio dei rispettivi Stati. Per farlo, l'Irlanda ha dovuto raddoppiare il suo debito pubblico in rapporto al Pil e, per non andare in default, alla fine ha dovuto fare ricorso al meccanismo europeo di stabilità (Mes, sorto inizialmente come ESFS, sistema europeo di stabilità finanziaria), altrimenti noto anche come Fondo salva Stati. In Spagna, invece, è entrata in crisi la più grande istituzione finanziaria del Paese, la banca Santander, che a sua volta è stata salvata dallo Stato coi soldi del Mes. Una sorte analoga, infine, è toccata anche al Portogallo con l'intervento decisivo del Mes e, successivamente, anche a Cipro.

Stessa sorte ha rischiato anche l'Italia tra il 2011 e il 2012 se non fosse intervenuta in soccorso la Bce di Mario Draghi, lasciando intendere che era disposta a comprare quantità illimitate di titoli pubblici italiani nell'ambito del programma OMT, che due anni dopo si sarebbe trasformato nel più noto Quantitative easing.

N el complesso, quindi, il Mes e la Bce sono stati l'accoppiata decisiva per superare la crisi finanziaria, evitando il default contemporaneo sia degli Stati sovrani, sia dei sistemi bancari coinvolti. Così facendo, l'Ue ha salvato il suo sistema finanziario basato sull'euro e almeno cinque dei suoi Paesi sovrani dall'imminente fallimento.

Ora, poiché una nuova crisi finanziaria che coinvolga il sistema bancario e gli Stati sovrani europei può sempre ripetersi anche in futuro, chi oggi sostiene che il Mes non serva a nulla e che l'Italia farebbe meglio a starne fuori, se non è ignorante dei fatti già accaduti, è in malafede, perché antepone presunti contingenti interessi elettorali di partito all'interesse del Paese ad avere uno strumento anticrisi rafforzato come il Mes.

Uno degli argomenti di propaganda contro la riforma del Mes è che questa serva solo al salvataggio di banche tedesche e francesi. Salvini si è lasciato andare sostenendo che il 95% dei fondi Mes utilizzati per salvare la Grecia sono finiti, appunto, alle banche tedesche e francesi. Borghi, di rincalzo, alla Camera ha sostenuto che il Mes è stato creato per «trasferire sessanta miliardi dall'Italia alle banche tedesche e francesi». Un economista della Bocconi, Roberto Perotti, si è tuttavia incaricato di dimostrare (www.lavoce.info) che l'aiuto netto dell'Italia alle banche tedesche e francesi nel salvataggio della Grecia è stato di 2,7 miliardi su un totale di aiuti (prestiti, non regali) di 206 miliardi, cioè pari all'1,3% e non al 95% sostenuto da Salvini.

Ma davvero, come sostiene Giorgia Meloni, «i tedeschi le loro banche le vogliono salvare con i soldi nostri»? O, come sostiene ancora Salvini, «il Mes significa portare via i risparmi degli italiani per salvare le banche tedesche»? E ancora che «con la riforma del Mes si rischia la confisca notturna dei conti correnti degli italiani»? È curioso che a queste accuse facciano da contraltare le dichiarazioni di AFD, il partito sovranista di estrema destra tedesco, anch'esso contrario alla riforma del Mes «perché servirebbe solo per salvare le banche italiane». La netta sensazione è che i due partiti sovranisti, Lega e AFD, stiano cercando di strumentalizzare un dibattito molto tecnico per piegarlo a esigenze elettorali nei rispettivi Paesi, con accuse infondate e contrapposte rivolte dall'uno nei confronti del Paese dell'altro.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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