L 'Italia era nota in Europa per la sua estrema stabilità elettorale. Durante la Prima Repubblica, il giorno successivo alle consultazioni, si registrava il consueto esercizio retorico degli opinionisti che stabilivano vinti e vincitori in base a scostamenti spesso pari a pochi punti percentuali. D'altronde, il voto degli italiani era caratterizzato da una profonda e incrollabile fedeltà a un partito abbracciato dalla culla alla tomba. Amarcord allo stato puro.

Adesso il voto è diventato più volatile di un titolo azionario, comprato in seguito a un crollo in borsa, e il responso delle ultime elezioni europee ne è una tangibile conferma. Cinque anni fa il Partito Democratico sfondava la soglia del 40% con undici milioni di voti, mentre la Lega (allora Nord) vivacchiava intorno al 6%. Nel marzo del 2018 il Movimento 5 Stelle superava di slancio quota 30% e si candidava alla guida del governo del cambiamento, dato che più di dieci milioni di italiani gli accordavano la fiducia.

Oggi il quadro risulta nuovamente rivoluzionato. Le consultazioni per il Parlamento europeo ci dicono che milioni di voti si sono spostati da uno schieramento all'altro. La nuova Lega (non più Nord) di Salvini ha conquistato nove milioni di consensi, ovvero tre milioni in più rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Allo stesso tempo appare inarrestabile il declino dei pentastellati che in quindici mesi hanno dissipato nelle urne sei milioni di schede. Più che un trend elettorale sembra la descrizione di un giro sull'ottovolante. (...)

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