C ome faremmo se fossimo tutti decisivi? Se tutti i tentativi approdassero al successo e ne nascessero delle belle imprese personali? Diventeremmo certamente una terra senza eguali. Capace di offrire tesori eccezionali al mondo. Quel mondo che ci esalta senza badare ai problemi annosi.

È la domanda che mi pongo da quando è salpata la mia avventura in Inghilterra. Tutte le volte in cui l'aereo rulla e la mia vita balla per la gioia di tornare a casa, la domanda si ravviva. Evviva, mi dico. Forse è la volta buona. Sento che la china può essere riconquistata. L'alba inglese è sempre foriera. Specie quando l'aereo decolla con il sud nella rotta. Il destino dell'Isola è ormai giunto al bivio che separa Dubai da Mururoa. O si sbanca nel mondo, oppure si sbarca il lunario.

Cosa manca a una terra bombardata dalla sfortuna per riaversi dall'esilio nel Mediterraneo? Non basta l'archeologia che imperla il paesaggio per sistemare i bilanci? E il corollario di coste non è più sufficiente a mettere le cose a posto con l'economia?

Forse si dovrebbe rivoltare sottosopra l'Isola. Ogni decade una girata. Come le clessidre. A forza d'imprese cumulative, si troverebbe un equilibrio a peso d'oro. Metteremmo pezze al colabrodo, arrestando finalmente l'emorragia di geni, professionisti e giovani a caccia di un futuro.

Questi e altri pensieri si affollano nella mente. Pari al numero di risposte che sovviene all'atterraggio, quando l'ampiezza del paesaggio mette coraggio per la lunga teoria di curve verso la Barbagia. (...)

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