M ungere parole. Non so fare altro. Ho un gregge di pensieri che mi pascola la testa. Dalla notte all'alba seguo i salti dell'ispirazione a caccia di alchimie che mi rendano un prodotto nobile. La scrittura è la paradura con la quale conduco la famiglia fra le nebbie inglesi sognando un giorno il grande rientro.

Nonostante mi abitui a sopportare la distanza, il lato inviolabile dell'indole mi obbliga a sapere cosa accade a casa durante le mie assenze prolungate. Batto e ribatto sui tasti incandescenti scrivendo ad amici e conoscenti. Mi struggo, mi arrabbio. Piango il latte versato nelle strade e conto sulle dita i centesimi del prezzo che non valgono una vita dura. Cale vida? Dodicimila aziende tenute sotto scacco dalla politica che ha reso la miopia tecnica la forma di governo privilegiata. Un motore infaticabile reso inservibile per interventi volti a combattere la pulsione naturale al benessere collettivo.

È saggio riconoscerlo. La pastorizia è la motrice dell'intera economia isolana. Un'industria trattata alla stregua di un manipolo di facinorosi. I nervi sono corrosi e il latte che scorre nelle vene prende il fiele della rivolta. E' una vita da cani bastonati. Costretti ai ricatti delle elemosine comunitarie che premiano i virtuosi troppo noti costretti loro malgrado a un'uscita d'emergenza. Se potessi rinascere, vorrei nascere pastore di parole. Vorrei riprendere le transumanze, le antiche usanze del viaggio a piedi verso i pascoli più fertili. Lo dico per farmi coraggio. (...)

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