Con Grazianeddu non si sono mai nemmeno sfiorati. Mesina nella “porcilaia” di Badu ‘e Carros, sezione maledetta degli jihadisti puri, non c’è mai stato, nemmeno prima dell’ultima fuga a piede libero. Lui, invece, Mullah Fateh Vahid Krekar, per tutti gli adepti Mullah Krekar, è da mesi rinchiuso nel tugurio più profondo del carcere più duro dell’Isola di Sardegna.

Setole di cinghiale

Il pedigree di quel signore dal viso circondato da setole di cinghiale, con rarefatta permanente, non promette rosari e lodi mattutine. Di lui si sa molto e niente. Molto ne sanno gli uomini della Cia e dell’intelligence mondiale, niente o quasi, invece, rispetto a quanto lui stesso ammette davanti al Corano. Se nel documento d’identità ci fosse stata da compilare la casella dell’idolo a cui si ispira avrebbe certamente scritto: Osama Bin Laden. Non c’era e non l’ha scritto, ma la sostanza non cambia. Nella sua biografia internazionale, quella racchiusa nei dossier riservati, infatti, non sfuggono intercettazioni impresse come confessioni nei verbali degli inquirenti.

Torri gemelle

L’attentato più violento e devastante della storia terroristica mondiale era stato appena segnato da quelle Torri gemelle scardinate dal cielo a colpi di aerei suicida. La registrazione è annotata con precisione. Mullah Krekar, l’uomo ospite di Badu ‘e Carros, osanna il suo idolo. Parla e inneggia: «Osama Bin Laden è il gioiello della corona dell’Islam». Apprezzamenti che restano scolpiti nella cronistoria di un personaggio tanto controverso quanto spregiudicato.

Il martire al- Zarqawi

Quando gli Stati Uniti fanno secco uno degli uomini più violenti e nefasti della Jihad non si sottrae da una commemorazione da galera: «Orgoglioso di ciò che Abu Musab al-Zarqawi ha fatto. E’ diventato un martire». Peccato che quel signore, considerato da Mullah un martire, si fosse conquistato sul campo, a suon di attentati e decapitazioni, il titolo di "Emiro di Al Qaeda nel Paese dei Due Fiumi", ovvero il numero due di Al-Qaeda dopo Osama.

Porcilaia

In quel cunicolo puzzolente, senza aria e luce, che la storia ha marchiato come la “porcilaia” di Badu ‘e Carros, blindato negli anfratti di uno dei carceri passati alla storia come tra i più violenti, lui non ci voleva proprio finire. La storia, invece, l’ha spedito nella Guantánamo sarda, a tu per tu con adepti jihadisti di mezzo mondo, “inviati” nell’Isola dei Nuraghi, quasi fosse l’antica isola del Diavolo. Lì dentro ci sarebbe rimasto, “sepolto” nel silenzio più assoluto, nel segreto della detenzione, se non fosse stato che, una settimana fa, una catena internazionale di sostenitori ha scatenato l’inferno.

Fuoco alle polveri

A dare fuoco alle polveri del mondo jihadista è un islamista britannico dai modi spicci e dalle parole insanguinate. Il suo nome, Anjem Choudary, è blindato tra quelli inseriti nel Terrorism Act 2000, il piano inglese per eliminare alla radice il terrorismo integralista. E’ lui che si erge a paladino mondiale del Mullah di Badu ‘e Carros.

La «fatwa» sarda

Gli inglesi gli hanno appena allentato le misure restrittive e lui non ha perso tempo per lanciare la «fatwa» islamica in chiave sarda per invocare la liberazione del “fratello”detenuto “illegalmente”, secondo i canoni del predicatore, nel carcere nuorese. E del resto non gli mancano gli azzardi visto che il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite gli hanno persino bloccato i suoi beni per aver invitato a sostenere lo Stato islamico dell'Iraq.

L’attacco al Papa

Uno che si è sperticato per elogiare gli autori degli attacchi terroristici dell’11 settembre sino ad affermare, davanti alla cattedrale di Westminster, a Londra nel 2006, che il Papa «doveva essere giustiziato per aver insultato l'Islam». L'ex avvocato, diventato filo terrorista, per queste sue esternazioni, rapporti e invocazioni, a Londra doveva indossare un cartellino elettronico e rispettare un coprifuoco notturno, frequentare solo moschee pre-approvate e rimanere all'interno di un'area prestabilita. Appena gli hanno revocato il divieto di parlare in pubblico ha dato inizio alle danze. Per farsi sentire non ha scelto una moschea, ha preferito i social, nuovo campo d’azione dell’estremismo islamico.

Storm, la tempesta

E il titolo della mobilitazione non poteva essere più eloquente: Twitter Storm, tempesta di cinguettii. Tempesta sì, cinguettii un po’ meno. Una dichiarazione di guerra che non è sfuggita a Jihad and Terrorism Threat Monitor (JTTM), il più attento rilevatore di spifferi nel mondo jihadista.

Intelligence

Il testo del report finito nei fascicoli dell’intelligence di mezzo mondo, e forse oltre, è esplicitato nel titolo: «Il predicatore britannico pro-ISIS Anjem Choudary annuncia una nuova campagna su Twitter per chiedere il rilascio del mullah Krekar, detenuto in Sardegna». L’operazione, gestita attraverso il canale Telegram, annuncia il lancio di una campagna mondiale, iniziata il primo ottobre alle ventidue ora di Londra, alle diciassette a New York e alle sette del mattino a Sydney.

Liberate Mullah Krekar

L’obiettivo dichiarato nei volantini, condivisi dall’universo social, con profili il più delle volte inneggianti alla Jihad, sono espliciti nella richiesta: rilasciate Mullah Krekar. Come e quando sia arrivato in Sardegna questo “sacerdote” amico di Bin Laden, con il quale, raccontano le cronache dei servizi segreti, si è incontrato e “godeva” di un filo diretto, non è dato sapersi. In realtà lui, il Mullah di Sardegna, voleva restare in Norvegia, Stato che lo aveva “accolto” insieme alla sua famiglia. Per il Paese del nord Europa, che voleva liberarsi dell’ingombrante personaggio, è stata una manna dal cielo la richiesta dell’Italia di estradare il “professore”.

Norvegia lo scarica

La Norvegia, secondo le sue leggi, non lo poteva estradare in Iraq, dove probabilmente gli avrebbero fatto la pelle, ma non ha perso un secondo per spedirlo, senza rimorsi, nel bel Paese. A fine marzo del 2020, in piena crisi pandemica, lo spediscono nello Stivale e poi in Sardegna. Qui, nell’Italia accogliente, i carabinieri del Ros, il Raggruppamento Operativo Speciale, già nel 2015, lo avevano beccato quando setacciavano gli anfratti più segreti alla ricerca delle cellule dormienti della Jihad.

Il “rettore” in Italia

Le avevano scoperte in Alto Adige e si celavano dietro un’università coranica che operava via Internet. Il “magnifico rettore” era proprio lui, il Mullah Krekar, il principale imputato del processo che lo ha portato alla condanna di 12 anni di carcere. Nel dibattimento è emerso di tutto e di più. Krekar, lo jihadista di Badu ‘e Carros, risulta agli atti processuali, era un vero punto di riferimento dell’estremismo islamico, legato e collegato ad una rete mondiale.

La Cajenna di Nuoro

L’uomo, registrato all’anagrafe delle carceri sarde come Faraj Ahmad Najmuddin, alias Mullah Krekar, è ora detenuto nella Cajenna di Nuoro. E’ lui, secondo i report investigativi, il vero capo dell'organizzazione smantellata dai carabinieri del Ros. Non un’associazione fatebenefratelli ma un gruppo terroristico, Ansar Al-Islam, costituito per instaurare uno stato islamico con metodi violenti nel Kurdistan iracheno, inserito nelle liste del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Il capo dal carcere

C’è di più nel report divulgato dai servizi segreti: Mullah Krekar, dal carcere norvegese, prima dell’estradizione in Italia, «ha continuato a rappresentare la guida non solo ideologica dell'organizzazione, mantenendone anche la direzione strategica sulle questioni più importanti, quale la partecipazione al conflitto siriano o la decisione di allinearsi con Isis».

Buona compagnia

Ora, secondo i report dei suoi legali e delle organizzazioni che lo vorrebbero a passeggio tra margherite e prati verdi, è nella “porcilaia” di Badu ‘e Carros, con una buona parte di quei detenuti Jihadisti che l’Italia penitenziaria ha pensato di sbattere in Sardegna, tra Nuoro e il carcere sassarese di Bancali. Ultimo elemento: il resoconto dell’ultima visita del Garante nazionale dei detenuti chiede che la sezione attualmente riservata alla detenzione maschile di persone detenute in regime AS2, i terroristi internazionali, (la “porcilaia” n.d.r.), nella Casa di reclusione di Nuoro sia chiusa anche al fine di evitare censure in ambito internazionale.

Non un Motel

L’accusa del Garante è circoscritta: le stanze detentive, singole o doppie, sono scarsamente areate e ben poco illuminate e l’atmosfera è claustrofobica. Come dire non è un Motel. Del resto in Norvegia, con telefono e Internet a disposizione, aveva continuato a gestire l’organizzazione criminale. Ora, invece, è nell’Isola del diavolo, balzata agli onori della mobilitazione jihadista per la liberazione del loro Mullah. Un ospite di cui la Sardegna avrebbe fatto volentieri a meno.

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